gelosia

Pizzicati, anche stavolta, in fuorigioco. Goal annullato: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava dèmoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perchè non ci seguiva». Fianco a fianco col loro Maestro, stanno diventando persone intelligenti i discepoli: fatica, tanta fatica, ma lentamente imparano a leggere nel trambusto delle cose, nelle pieghe del reale, nel bailamme quotidiano. Quando, poi, diverranno capaci di leggere-dentro, un’altra sfida sarà pronta ad attenderli: l’intelligenza da sola, senza la bontà, è come un abito da sera messa addosso a un cadavere. Bellezza sprecata: è inutile. E’ la bontà, invece, nemica dichiarata della gelosia, a fare di un’intelligente una persona saggia. Dunque umanamente rilevante: «Il giorno in cui acconsentiamo a un po’ di bontà – scrive C. Bobin – è un giorno che la morte non potrà più strappare dal calendario». Gli apostoli, che Gli sono amici, sono gente rigida: hanno preso uno schema e l’hanno imparato a memoria. Del dogma hanno fatto la loro identità: a furia d’imparare a memoria la grammatica, sono diventati delle zucche in fatto di sintassi. Senza la sintassi, però, la grammatica non sa stare in piedi: il sostantivo, per quanto bello possa essere d’aspetto, è natura morta senza una relazione con il resto. Quando lo si sposa con un verbo, magari abbinandogli altri complementi, diventa natura viva.
E’ l’eredità che il Cristo, piccione-viaggiatore, vorrebbe mettere dentro quei cuori schematici dei suoi amici. Loro, nostri padri nella gelosia, vorrebbero che il Cristo fosse proprietà-privata loro: che il fuoco dello Spirito, lungi dal soffiare dove vuole, iniziasse a soffiare dove può, cioè dove loro vorrebbero soffiasse. Il Cristo, però, non ci sta. Li bacchetta, senza acrimonia e senza ambiguità: «Non glielo impedite, perchè non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare di me». Hanno paura della bontà e della tenerezza: poiché non hanno la loro firma, ne decretano la nullità. “Non sono dell’Azione Cattolica, non vengono in chiesa la domenica, non fanno volontariato in patronato, è tutta gente di fuori”. Pensieri che, agglomerati assieme, diventano bestemmia, la più ecumenica delle bestemmie: “Non sono dei nostri. Fuori-tutti!” Hanno paura che una piccolina candelina, accesasi ai confini della parrocchia, possa disturbare il frastuono delle luci alogene delle loro navate: «Non abbiate paura della bontà e neanche della tenerezza» esorta a più riprese papa Francesco. Nessuna paura, è la natura a dircelo: come i raggi di una piccolissima candela, di un cerino, son capaci di arrivare lontano, così un’azione di bontà può splendere in un mondo di malvagità. Il Vangelo in una candela, un bicchier d’acqua: «Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome, non perderà la sua ricompensa».
Pare chiaro che ci voglia un certo stile nel praticare l’arte dell’esagerazione.
Ammettere d’aver incontrato Cristo – «La fede cristiana non è un’idea ma una vita» scrive Ratzinger – più che un diritto di prelazione acquisita accredita un obbligo di testimonianza: far in modo che la nostra vita divenga un’occasione di incontro tra la storia e la presenza di Cristo, tra la città degli uomini e quella di Dio. Più che segnali stradali – dicono verso dove si deve andare, ma loro non ci sono mai andati – i cristiani sono incroci d’appuntamenti, zone di smistamento, porti di mare. “Questa chiesa è tutta un porto di mare!” – mi disse un sacerdote anziano sulla soglia di quella casa così di Dio d’essere di tutti. Un porto di mare: immagine bellissima della Chiesa. Dice attracco e scambio, viaggi di andata, di ritorno, naufragio e salvataggio. Giubbotto salvagente, àncora d’ormeggio. Porti ad ingresso gratuito, porte aperte a chiunque abbia a cuore il bene, fatto bene. Cristo è fatto così: di tutto, un po’ a tutti. Il Regno di Dio è più caccia al tesoro che seminagione di patate: scoprire i germogli da Lui nascosti, farli brillare.
Accendere la luce nel mondo: «Fossero tutti profeti nel popolo di Dio» (Num 11,29). La gelosia è una brutta bestia: l’amore prende per mano, lei per il collo.

(da Il Sussidiario, 29 settembre 2018)

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue» (Vangelo di Marco, 9,38-43.45.47-48)


(Immagine tratta da https://bibliobuscate.wordpress.com)

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