fedeChe cos’è la fede? Un dono, a detta di quasi tutti. Ma è proprio vero?
Certo, la fede è un dono e un dono grande, di cui essere grati. Ma non è un fardello da portarci dietro, non un’urna da trasportare! La fede è viva, cresce con noi. La fede ci accompagna, non ci trascina. La fede è dono, ma anche conquista. È scoperta sempre nuova, è voglia di fare, è attesa, speranza, salvezza . Non dà nulla per scontato. Non significa non farsi più domande. Non significa essere arrivati. Non significa “essere a posto”. È punto di partenza, non certo d’arrivo.
Perché se la fede mette il cuore in pace, allora, scusami, non è fede. È un contentino. È un’illusione. Perché la fede non è l’arrivo, ma ti mette in cammino.
Non dà la soluzione ai tuoi problemi, ma gli strumenti per poterli affrontare. Non ti rende la vita facile, ma ti svela il segreto per poter superare le avversità. Sia chiaro: la fede non è facile.

Ci saranno un sacco di cose che la potranno mettere in discussione: dal mistero del male alla “sindrome del fratello maggiore”, è difficile stare al passo di un Dio che va controcorrente!
Qualcuno parla della fede come di una risposta. «Risposta non c’è, o forse chissà, caduta nel vento sarà» filosofava, cantando, Bob Dylan. Del resto, neanche a me convince del tutto. La fede, certo, darà delle risposte. Ma non è solo questo. È, insomma, ben lontana dall’essere una specie di talismano, come quei libri chiamati “libri delle risposte” che si preannunciano capaci di risolvere, con poche ed enigmatiche parole, tutti i dubbi e le perplessità di noi poveri uomini, sbatacchiati in questa vita funesta e grama. Innanzitutto pone domande, richiede nuove risposte, raccomanda di mettersi in discussione.
Ogni giorno di più, mi convinco che in fondo abbia ragione Albino Luciani, quando diceva che «quelli che non credono in Dio combattono, spesso, non Dio, ma l’idea sbagliata che essi hanno di Dio». E che – aggiungerei, con una piccola vena auto polemica – molto spesso noi per primi, che ci diciamo cristiani, abbiamo alimentato con le nostre ipocrisie, con la nostra malafede, con l’abissale distanza che ci separa – inevitabilmente – dal nostro Cristo. Mi domando, però, quanti davvero se ne siano andati rendendosi conto di ciò a cui hanno rinunciato oppure se – come penso – spesso non si sia trattato di un rifiuto pienamente consapevole; è una stizza adolescenziale, una ribellione che si perde nel tempo, di cui si è ormai perso ogni ricordo e che continua solo per inerzia, come se viaggiasse con il pilota automatico. L’ateismo, come la fede, va alimentato.
La fede, alle volte, è fatica da sperimentare nel quotidiano. Spesso è aridità, solitudine, abbandono: è l’esperienza del “silenzio di Dio”, che non ha risparmiato neanche i più grandi santi. È litigio, forse persino odio. Perché persino l’odio è un sentimento, quindi la relazione continua a persistere anche con l’odio. Ricordo il mio vecchio Rettore, che, ai tempi del liceo, ci diceva: «Ma, ragazzi, litigateci con Dio! Lui almeno vi ascolta! Pensate che pregare sia soltanto dire un’Ave Maria? Quando i miei studenti mi fanno disperare, io li metto tutti nelle Sue mani e gli dico: “Oh, sono tuoi, no? Ad un certo punto, pensaci tu… io ho fatto il possibile!”».
Eh, sì, è difficile il mio Dio fragile, attorniato da santi tremendamente umani, che nulla hanno di stoico o di eroico, se non il coraggio della speranza.
Ogni volta che qualcuno si azzarda a dire che apprezza o invidia la mia fede, a me vien da ridere perché penso che non sappia cosa dice. Perché ha il suo prezzo. È fantastico credere nel mio Dio fragile, tenero e forte, uno che non molla mai. Ma questo significa anche passare per fessa, quando ti senti dire “Ma chi te lo fa fare? Fan tutti così!”.
Sintetizzava bene monsignor Bruno Forte: «il credente è un povero ateo che ogni giorno si può sforzare di cominciare a credere. Ovvero è colui che con Dio deve cominciare ogni giorno, perché nell’amore non si vive di rendita…». Cristo ci lancia una sfida, una sfida ardita, e ce la rinnova ogni giorno. Fidandosi che potremo portarla a termine, scommettendo un azzardo incredibile sulla nostra povera ricchezza d’uomini. Cadremo? Niente di più probabile. Quante volte? È facile che saranno davvero tante… Ma ci lascia pur sempre una certezza: lui si chinerà su di noi e non per schernirci e dirci che siamo degli idioti, che è stata colpa nostra, che noi abbiamo scelto di allontanarci da Lui. No! Si chinerà, ci sorriderà, e senza dire una parola (molte volte, le parole finiscono con l’essere inutile fonte di malintesi – come ammoniva la Volpe del Piccolo Principe –) e ci aiuterà ad alzarci…ogni volta!
Personalmente, credo che questa sia la certezza più bella con cui scegliere di accompagnare la mia vita!

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