Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

camminare sulle uova

Il piede umano è un’opera d’arte, un capolavoro di ingegneria: non hanno le radici come le piante, i piedi sono stati fatti per muoversi. Il Dio cristiano è un Dio camminatore, adora l’andare-a-piedi, quando capita anche lo stare-in-piedi: è questa l’informazione-prima che gli evangelisti ci tengono a tramandare del Maestro. D’altronde l’han veduto sempre in cammino, un po’ ovunque, persino sulle acque: «Cammina. Senza sosta cammina. Va qui e poi là. Trascorre la propria vita su circa sessanta chilometri di lunghezza, trenta di larghezza. E cammina. Senza sosta. Si direbbe che il riposo gli è vietato» (C. Bobin, L’uomo che cammina). La salvezza è un cammino: arrestarsi a bordo-strada è rischiare di perdere il treno per il cielo. Andargli dietro è imparare l’andatura giusta.
Cammina, non corre, il Nazareno: in chi corre c’è più vedere che guardare. Vedere non è guardare: udire non è ascoltare. I Vangeli sono cultori di questa differenza. A chi è indaffarato ad aumentare la velocità, difficilmente gli riuscirà di scorgere un pugno di gigli assonnati in un prato, un pastore all’opera con i suoi armenti, uno stormo di uccelli che svolazzano sopra il cielo di Palestina. Cristo camminò: usò i piedi – passi lenti, indaffarati, passi pesati – per allenare gli occhi. Camminando, Gli riuscì di guardare le medesime cose che a chi correva – uno su tutti Lucifero, lo Sbruffone – riusciva solo di vedere. Come a Nain, città diventata celebre grazie ai piedi di Cristo: quel giorno s’arrestarono di colpo. La scena che Gli si affacciò innanzi, lo drizzò ancor più in piedi: «Veniva portato alla tomba un morto, unico figlio di una madre rimasta vedova» (liturgia della X^ domenica del tempo ordinario). Un doppio lutto pressava come un torchio quelle spalle di femmina: era il suo secondo viaggio al camposanto. Anni prima mise sotto terra il marito, stamane sta rifacendo lo stesso gesto col figlio. L’unico, mica uno di cinque. Non c’è strazio più grande di una madre che porti il figlio al cimitero, di una madre che sopravviva al figlio. Questo Cristo lo sa bene: un giorno toccherà anche alla Madre sua.
Gli occhi di una madre hanno la vastità di un paese di collina, la densità di una megalopoli. Per guardarli, è obbligatorio fermarsi: «Vedendola, Il Signore fu preso da compassione». Negli occhi di quella donna, Dio riflette il cuore suo: si commuove. Non è un moloch statuario, non somiglia nemmeno ad uno dei tanti dei che amano starsene lontani: è normale e non si vergogna affatto di lasciarlo trasparire. Ci sono occhi di madre che, certe mattine, sono capaci di tutto, anche di arrestare il cammino di Dio: «Che cosa ne sappiamo noi di quel che passa nel cuore della gente? – scriveva don Tonino Bello – Chi si sente così sicuro da dire: io in quella fogna non ci cadrò mai?» Cristo è veramente uomo: la commozione lo arresta. Oltre: gl’impone di toccare quella carne che odora già di morte. La salvezza è un incontro pelle-a-pelle, faccia a faccia, uno ad uno, da solo a solo: «Ragazzo, dico a te: alzati!». Risorgi prima tu.
Quando Lui passa, la vita si rimette in moto. Mica ha chiesto qualcosa la madre: lei, riversa nel suo composto dolore, ha concesso a Dio di guardarle dentro le lacrime. D’intuire l’intero strazio di una vita doppiamente ferita: il volto è la porta dell’umano. Lei gli ha lasciato socchiusa la porta: Lui non se l’è sentita di passare-oltre senza restituirle quel Figlio che lei pensava già perduto. Cristo, fino allora, a Naim era un foresto: non fosse stata per tutta quella turba che lo seguiva, l’avrebbero confuso volentieri col vicino di casa, col carrettiere della frutta, coll’ortolano del paese accanto. Chi cammina non dà mai a vedere com’e stile di chi corre: il cammino è una cinghia di silenzio, un incrocio di sguardi, una penna che creare sul dolore. A chi corre, molte cose sfuggono: le medesime che, a colui che cammina, si porgono a bordo-strada per lasciarsi guardare, anche solo di-sfuggita. Per sentirsi ancora dentro l’ebbrezza di una sbirciata. Quando poi Cristo tocca, diventa toccante: il suo tocco è un rintocco. A Naim Cristo usò i piedi, lo sguardo e le mani: mise in gioco tutto se stesso. Gli attrezzi, a ben pensarci, sarebbero i medesimi che abbiamo avuto tutti in dote.

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