Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Stupirsi. Ricostruirsi. Reinventarsi. Ti domandi come mai “tra migliaia di uomini, Dio abbia scelto proprio questa faccia per essere prete!”.
E forse il motivo è proprio questo. Il fatto che tu te lo domandi. che non dia nulla per scontato, ma abbia il coraggio di farti quelle domande, che non è semplice farsi, perché la risposta non è affatto ovvia.
Tu, dietro quell’entusiasmo caparbio, quella voglia di fare, quella necessità di dare vita a tutte quelle cose che produce quella mente fertile, celi, con la tua semplice presenza, una domanda sul senso che non abbandona né te, né alcuna delle persone che ti hanno conosciuto.
Questo stupore è un insegnamento perpetuo, perché, al di là di ogni possibile superbia umana, che può nascere dalle proprie umane qualità, c’è la certezza che nulla sia scontato e che ci sia un dono nelle occasioni che la vita offre. Persino quelle che, alla prima visione e al primo impatto, risultano “scomode”, un impedimento che vorresti, a tutti i costi, eliminare, per poter tornare a vivere in modo sereno e tranquillo, con meno preoccupazioni e domande.
Di fronte all’imprevisto, al non programmato, è inevitabile l’iniziale imbarazzo o l’umano sconcerto. Scegliere di accogliere progetti diversi dai propri richiede sempre quella sofferenza, a chi la guarda sempre piccola, ma che per chi sceglie di viverla, risulta essere una di quelle piccole “crocifissioni” del nostro io, che ci fanno crescere interiormente, specialmente quando non ne comprendiamo il motivo. Il motivo, il più delle volte, risulta comprensibile dopo.
Tuttavia, oltre allo shock iniziale, c’è una creatività che entra in campo, quando i piani sono saltati. Come dopo un terremoto o un tornado, quando le carte sono rimaste tutte sparigliate, è arrivato il momento di ricostruire quello che è rimasto distrutto e, dove serve, reinventare e reinventarsi qualcosa di nuovo che possa diventare strade nuove da percorrere, anche se si tratta di percorsi nuovi ed inusuali.
Quest’apertura al cambiamento ed all’inconsueto non chiede solo creatività, ma anche quella libertà di cuore che domanda d’essere coltivata in uno spirito orante, se non vuole correre il rischio, inutile e poco fruttifero, di non essere niente più che un battitore libero, dotato di originalità ma privo di sapienza.
Invece, è di sapienza che c’è bisogno, quella sapienza profetica di chi ha il coraggio di nutrire la speranza che è necessaria per poter intravvedere la spiga, quando ogni umana capacità non consente di vedere altro che il seme che muore, inabissato nella terra nera.
Questa sapienza è sì dono, ma anche responsabile lavoro di crescita personale, facendo forza sulle proprie radici, contadine, valligiane, di chi ha imparato il Vangelo che profuma di campagna, degli odori semplici che contornano i campi e accompagnano le salite di montagna, che si adorna dei colori accesi della primavera e di quelli cupi dell’inverno, che ascolta i suoni grevi di un gregge durante la transumanza o di mucche al pascolo in qualche alpeggio in quota. Quel Vangelo che, con tutti i suoi possibili limiti, mantiene però la fragranza originaria di una Parola, che si è fatta carne in mezzo ad un popolo di pastori, pescatori e contadini: un Dio che snobba i sapienti e si fa comprensibile ai più piccoli tra i piccoli.
Quando si ha a che fare coi piccoli, bisogna sempre imparare a “tornare grandi” come i piccoli: è la stessa fatica che ci chiedono i bambini. Ad inginocchiarci per sentire i loro segreti, le gambe fanno male, ma avere la possibilità di vedere il mondo con i loro occhi, ci fa dilatare il cuore: è una fatica necessaria, ma appagante.
La Misericordia di Dio è un abisso difficile da comprendere, roba che a tuffarsi dentro manca il respiro e fa solo sentire ancora più piccoli e incapaci. Incapaci perché non in grado di contenere tanta grazia, quale è la misericordia: ci ritroviamo come un bicchiere troppo piccolo per la sete che dobbiamo soddisfare.
La necessità del momento attuale si fa presente come incessante richiesta di testimoni veri, persone capaci di incarnare con la vita quella fede che professano, a viso scoperto, senza finzioni né fraintendimenti, con parole chiare e nette, precise ove serve, ma soprattutto con un’azione discreta ma tenace, forte e dolce, ispirandosi a quel Padre Celeste che è capace della commozione che rasenta l’assurdo, come quando arriva a lasciare 99 pecore in balia del pericolo, per andare in cerca di quella che ha bisogno d’aiuto e comprensione.
Dopo 11 anni, non puoi fare a meno di  renderti conto che “Dio usa le tue debolezze per scrivere frammenti di speranza”. È magnifico toccare con mano questa realtà perché significa constatare che il nostro risultato finale può essere in positivo indipendentemente dai nostri meriti personali: lungi dall’essere superflui, non bastano però ad esprimere il prodotto finale.
E allora, nell’anniversario della tua ordinazione sacerdotale, cosa augurarti se non di continuare ad essere strumento nelle mani di Dio per scrivere frammenti di speranza, in un mondo che è assetato come beduino errante nel deserto?

Tanti auguri di cuore!

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