Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Se chiudiamo gli occhi, probabilmente, dai più piccoli ai più grandi, esclusi solo i bimbi di età prescolare, la Prima Lettura della Seconda Domenica di Quaresima, nel rito Ambrosiano, ci fa ripensare, probabilmente, al catechismo e alla fatidica domanda: «Quali sono i dieci comandamenti?». Con modalità più o meno nuove, tra giochi, quiz e altri stratagemmi di apprendimento per pargoli ormai più avvezzi alla Wii che a sfogliare un libro di qualunque, anche i bambini che si preparano a ricevere i Sacramenti, si trovano a dover affrontare questo, che, per gli adulti, finisce per essere – sostanzialmente – l’oggetto dell’esame di coscienza, in preparazione alla Confessione.
Oltre alla versione liturgica, troviamo i Dieci Comandamenti elencati anche nel libro dell’Esodo (20, 2-17). La prima versione è più lunga, tuttavia, in Esodo, troviamo una spiegazione più precisa riguardo al precetto festivo, che insiste sulla provenienza del riposo sabbatico dal riposo di Dio stesso, al termine della Creazione. Nella versione del Deuteronomio, troviamo, invece, rispetto all’Esodo, una priorità nei confronti del desiderio verso la moglie del prossimo, che testimonia una progressione nella visione della donna, non più come mero possesso (assimilabile, perciò, agli altri beni materiali), bensì, come aiuto e sostegno, pari e complementare all’uomo, come emerge dal primo capitolo della Genesi.
La legge, offerta dalle Dieci Parole, è legge di libertà: ha come fine la promozione della piena umanità dell’uomo. Non è una costrizione, ma rappresenta quel limite che ci ricorda chi siamo. Se ce lo dimentichiamo, se ci illudiamo di poter usare le cose e le persone a nostro piacimento, senza pensare alle immediate conseguenze, ci facciamo del male. A noi stessi e agli altri. L’offesa a Dio, in fondo, arriva, sostanzialmente in modo indiretto. Se Dio è onnipotente, come pensare che il mio peccato possa scalfire la Sua forza? Non è quello – infatti – il vero problema. Il problema del peccato è che causa una ferita nelle relazioni, sempre in modo triplice: con noi stessi, con gli altri, con Dio. Non c’è nulla che non raggiunga Dio, perché Dio conosce ogni cosa; ma non c’è peccato che possa sminuire la bontà di Dio, quindi il problema non sta nell’offesa a Dio, ma nell’offrire il peggio che l’uomo possa dare. Perché nel peccato possiamo vedere l’abisso a cui può giungere l’uomo, senza Dio. Nell’amore, vediamo, invece,  le vette che l’uomo può raggiungere, perché chiunque dimora nell’amore, dimora in Dio (cfr. 1Gv 4, 15).
Ciò che diventa fondamentale, quindi, è il contesto, cioè la relazione con Dio: ecco perché le prime parole richiamano proprio la memoria: “ricorda, Israele”. È un monito, una raccomandazione, una preghiera. Ricordare. Ricordare da dove si è venuti, ricordare il percorso dalla schiavitù alla libertà, in cui Dio ha accompagnato il proprio popolo. Ricordare, per comprendere le richieste di un Dio che ama e che non intende condividere quest’amore con altri idoli.
Del resto, anche noi esercitiamo una memoria attualizzante, nel sacrificio eucaristico, memoriale della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo. Senza questa memoria, ogni altra fede sarebbe vana (cfr. 1Cor 15, 14) e Cristo non sarebbe altro che l’ennesimo folle che abbia calcato questa terra (e non il Figlio di Dio fatto uomo per amor nostro).

Nel Vangelo, troviamo la Samaritana, o meglio, il dialogo che, con essa, il Signore intrattiene.
Apparentemente, sembra che si tratti di un punto geografico nodale, nel passaggio verso un altro luogo. Il Vangelo di Giovanni, dice, infatti, che Gesù si trovava in Giudea e decide di passare in Galilea: questa scelta è legata alla presenza di mormorazioni dei farisei (l’illazione che battezzasse più di Giovanni – verità quanto meno parziale, perché, casomai, erano gli apostoli a farlo), che Gesù pare, almeno per il momento, non voler affrontare direttamente. Dunque: dalla Giudea alla Galilea, se prendiamo una cartina vediamo che la Samaria si trova in mezzo e quindi è necessario passarvi. In realtà, sappiamo che non era un itinerario consueto, per un giudeo: proprio perché tra i due popoli non correva buon sangue, per motivi storico-religiosi, oltre che per la scarsità di sorgenti d’acqua lungo il cammino, questi, qualora fosse necessario andare in Galilea, tendevano a scansare la Samaria, raggiungendo la Galilea seguendo la valle del fiume Giordano. Quindi, quel doveva non è da intendersi come una necessità, legata all’itinerario, com’è prontamente chiarito, del resto, dallo stupore della donna, al vedere, un giudeo spingersi proprio in Samaria, a mezzogiorno, sapendo che le fonti erano detenute dai samaritani.

mappa dell antica samaria romana

Se Gesù fa una cosa insolita, che non può non saltare all’occhio, la samaritana non è da meno. Sappiamo bene che i pozzi sono luoghi d’incontro, spesso utilizzati anche per accordi commerciali o matrimoniali (come il matrimonio tra Giacobbe e Rachele, appunto, di cui abbiamo notizia in Genesi 29).
Perché, dunque, Gesù, seduto al pozzo, mentre i discepoli vanno a fare provviste, non incontra altri che una donna?
Il motivo è l’orario. È mezzogiorno. Essendo una mansione che comportava un certo sforzo fisico e che era prettamente femminile, abitualmente, ragionevolezza e buon senso, suggerivano di andarvi alle prime ore del giorno, per evitare che la calura meridiana acuisse la fatica fisica causata dal trasportare pesanti contenitori d’acqua. Allora, lei, perché è qui? Lo capiremo più avanti.
Il caldo, il viaggio, il lungo cammino giustificano la stanchezza del Divin Viandante: «Dammi da bere», chiede Gesù alla samaritana, che si avvicina al pozzo. Una richiesta verosimile, che, forse, però, nasconde qualcosa in più.
La donna è stranita alla richiesta, ma coglie l’occasione: ha lei il coltello dalla parte del manico, perché lei ha di che attingere, e ne approfitta per rinfacciare la provenienza di Gesù dalle terre giudee.

«Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10)

Così le risponde Gesù: è la prima svolta significativa. Ha trovato come attirare l’attenzione della donna, nell’accostamento tra un termine noto e quotidiano (acqua) ed un aggettivo che racchiude in sé ansie, desideri, aspettative, aspirazioni dell’intero genere umano (viva).
Quest’uomo è interessante, all’inverosimile. Ma pare quasi non avere contatto con la realtà. La samaritana prova, allora, a ricordargli la sua condizione di indigenza e dipendenza: se lei non decide di largirgli dell’acqua, da solo non può servirsene, rendendo vano il lavoro dei padri (Giacobbe), che costruirono il pozzo per il proprio bestiame, a utilizzo proprio e dei futuri discendenti.   

«Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna» (Gv 4, 13-14)

La proposta è allettante, soprattutto per chi va ad attingere acqua a mezzogiorno. Ogni giorno. Ogni giorno, fatica e sudore, per l’acqua quotidiana. Perché l’acqua finisce ogni giorno e ogni giorno ne va rinnovata la scorta. Che bello se si potesse non avere più sete, se si potesse evitare questo viaggio estenuante per attingere acqua! Ecco, che quindi, dalle labbra della donna, sgorga la richiesta, che si fa preghiera accorata: “Dammi di quell’acqua!”.
Chissà se avesse davvero capito o se fosse rimasta immediatamente abbagliata dalla prospettiva di poter evitare quella fatica meridiana, per lei necessaria alla vita quotidiana.

«Va’ a chiamare tuo marito» (Gv 4, 16)

Questa è la seconda svolta. Non ha risposto alla provocazione iniziale, ha abbandonato il proprio bisogno, l’ha affascinata con una proposta che vada al di là della quotidianità ed ora la obbliga ad una scelta, quella per la Verità. Non è stato delicato. È in questo ambito che risiede il motivo di questa folle uscita meridiana quotidiana: evitare le chiacchiere di paese, perché ha avuto cinque matrimoni e, attualmente – diremmo noi – convive.
Ma chi le pone la domanda, come potrebbe saperlo? Sicuramente, in quel frangente, la donna deve aver pensato un momento se le convenisse davvero essere sincera. E la Verità ha vinto. Del resto, come mentire alla Verità in persona, senz’arrossire fino al midollo?
Forse, proprio la profezia di Cristo, fa spingere il dialogo più in profondità, andando a toccare non solo argomenti religiosi, ma proprio il punto cardine del dissidio (religioso) tra Giudei e Samaritani. “Dove adorare Dio?”. Se i Samaritani adoravano Dio sul monte Garizim, era proprio perché, per gli storici dissidi tra loro, i Samaritani non riconoscevano il tempio di Gerusalemme.

«Viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano» (Gv 4,23)

A questo punto, la donna azzarda un altro tema: la venuta del Messia; sarà lui a dirimere tutti questi dissidi e spiegare ogni cosa.

«Sono io, che ti parlo!»: un’agnizione (riconoscimento) in piena regola, sullo stile della letteratura epica classica, che nel vangelo vediamo comparire anche altre volte – ad esempio, nell’episodio del cieco nato (Gv 9, 1-41). È il primo passo della fede. Riconoscere che non sono io a stabilire tutto, ma che c’è qualcosa che mi supera, c’è un amore che mi precede, c’è un dono che mi aspetta. La fede nasce da una rinuncia: rinuncia al controllo sulla mia vita.

È quello che avviene alla Samaritana. Lascia che una Parola le turbi la vita. Lascia la brocca, abbandona i suoi programmi, si rende conto che l’Inutile è più necessario alla sua vita di quell’acqua – pur così essenziale per ogni uomo – ma che, se non è vivificata dalla presenza di Chi dona una direzione all’intera esistenza verso l’Eternità, rischia di amplificare soltanto la vanità delle nostre azioni quotidiane, ciclicamente ripetute, fino alla morte.

Gesù, doveva, quindi, passare dalla Samaria, perché era necessario, per quella donna, fare quell’incontro. Forse, per quella città, era necessario fare quell’incontro. E per noi?

 

Rif. letture festive ambrosiane, nella II Domenica di Quaresima (della Samaritana), anno B


Fonte: Acli Varese

Fonte immagini:
Israel Institute of Biblical Studies
Conforming to Jesus

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