Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

salmone
Durante le vacanze natalizie di IV elementare, la maestra Assunta ci diede da fare un’esercitazione: “Con l’aiuto dei genitori, disegnate l’albero genealogico della famiglia”. Ancora ricordo quelle sere d’inverno: la neve che calava lenta, la legna che scoppiettava, io sdraiato sulla tavola a comporre l’albero genealogico della famiglia. Per l’occasione avevo riunito tutti gli specialisti di storia di casa: la mamma, il papà più i nostri nonni. “Costruendolo – creò appetito la maestra – scoprirete un sacco di cose che parlano di voi”. Mi ricordo che, chiedendo aiuto alla memoria del pubblico non-pagante, sono risalito fino all’anno 1850 in una sola serata. Alla fine avevo davanti a me un albero gigante: gli antenati erano le radici, i nonni il tronco, le foglie i genitori, i frutti (squisitissimi) io e mio fratello. Apparve evidente che la mia vita è l’intrecciarsi di una storia che arriva da lontano e che andrà più lontano di me. Sapere da-dove arriva è importante per decidersi bene verso-dove portarla. Quanti segreti, poi, non ho trascritto: ogni storia ha diritto alla sua privacy: gli incidenti di percorso, le divagazioni d’amore, i tafferugli. Certi tradimenti, grossi patimenti, miscuglio di cuori. E’ tutto sangue che oggi scorre nelle mie vene. Provengo da là, come si proviene da un paese.
Nessuna storia, però, è mai riuscita a risalire così a ritroso nella memoria come quella narrata da Giovanni, l’amico del Cristo: «In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio, il Verbo era Dio». E’ un evangelista-salmone, Giovanni: è risalito fin lassù, alla sorgente, per scrutare tutta la storia. Da lassù, poi, la storia assomiglia ad una città contemplata dall’alto: è un senso di vertigine quello che ti fa ardere il cuore. Va lassù per accompagnare l’occhio quaggiù: d’un tratto lo sguardo si abbassa fino sotto alla finestra di casa mia. Farsi trovare sotto-casa è l’unica maniera che Dio conosca per dire all’uomo che Gli manca: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi». Quel bel giorno – il primo Natale della storia – Dio si è deciso: ha preso casa in mezzo alle nostre case, percorre le nostre stesse strade, abita nel mio stesso paese. Nella notte di Betlemme ha gettato luce dentro le tenebre del mondo: così facendo ha annullato la distanza tra il cielo e la terra. Da quel giorno credere che Dio esista resterà un gioco da bambini. Credere che Dio si sia fatto uomo – come me, come tutti – rimarrà lo scandalo e la scommessa più grande. Abitando la terra, poi, la colorò di una bellezza raffinata: è solo abitandolo che un luogo qualsiasi può diventare casa. Il mondo, a Natale, è diventato la casa di Dio: da quel giorno, ogni frammento parla di Lui, in ogni storia Dio (ri)suona il campanello davanti a casa mia.
La maestra, consegnati i quaderni, ci spiegò il senso di quell’esercitazione: “Quando avrete paura di qualcosa, adesso saprete cosa fare: andate a rivedere come i vostri antenati hanno affrontato quella stessa paura. Scoprirete un sacco di parallelismi tra la vostra vita e quella di coloro che vi hanno preceduto”. Me lo ripeteva bene anche il mio nonno: “Arriva dove vuoi, ma non dimenticarti mai da dove sei partito”. La maestra mi insegnò a chiamarlo “complemento di moto da luogo”: la botanica le chiama radici. Che, nei Vangeli, si sposano volentieri con le ali: ali e radici. Questo avvenne di strano in quel primo Natale della storia: Dio dall’alto è sceso in basso, perchè l’uomo salisse in l’alto. E’ nato perchè l’uomo rinasca di continuo: da allora anche le impronte più piccole lasceranno segni indelebili. In principio Dio era già al lavoro: «Il volto di Dio è come una faccia che emerge dall’oscurità» scrisse il teologo svizzero Hans von Balthasar. Fu il modo di Dio per dire “Eccomi, sono arrivato”. Per farsi luce, attraversò l’oscurità: quando apparve alcuni lo strinsero, altri lo sbeffeggiarono. Altri ancora finsero di non riconoscerlo: «Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto». A quelli che lo hanno accolto, concesse il lusso di chiamarsi figli-di-Dio. Non male come inizio.

(da Il Sussidiario, 4 gennaio 2010)

In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era, in principio, presso Dio:
tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste.
In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre
e le tenebre non l’hanno vinta.
Veniva nel mondo la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
Era nel mondo
e il mondo è stato fatto per mezzo di lui;
eppure il mondo non lo ha riconosciuto.
Venne fra i suoi,
e i suoi non lo hanno accolto.
A quanti però lo hanno accolto
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
i quali, non da sangue
né da volere di carne
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi abbiamo contemplato la sua gloria,
gloria come del Figlio unigenito
che viene dal Padre,
pieno di grazia e di verità (Giovanni 1,1-18).

isoladegli armeni

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