Invulnerabile – Francesco Tricarico e il suo nuovo disco (1)
[Intervista telefonica realizzata il 27 marzo 2013]
Cita John Lennon ed Helder Camara. Ricorda Domenico Modugno (di cui cantò una canzone a Sanremo nel 2011) e l’importanza della memoria, rivendicando che alla musica sia garantito (anche in Italia!) il doveroso spazio che merita. Avanza persino una proposta per uscire dalla crisi, economica e dei rapporti: riattaccare i bottoni, e non solo…
Per chi vuole saperne di più, ci sarà la presentazione del nuovo disco “Invulnerabile” alla Feltrinelli di Milano (in Piazza Piemonte, n°2), il 2 aprile 2013, alle 18.30, con Marco Guarnerio alla chitarra e Michele Fazio al pianoforte. Da ricordare poi che il primo concerto in assoluto, che aprirà il tour, sarà il 5 aprile, presso il carcere di Bollate, riservato esclusivamente agli ospiti della casa di reclusione. Altre date sono ancora in arrivo, naturalmente.
- “Invulnerabile” è il titolo del tuo nuovo album: c’è qualcosa che può essere definito così, oppure ritieni sia tutto mutevole e passibile di cambiamento?
Anche le cose invulnerabili possono cambiare. Invulnerabile è un augurio. È chiaro che siamo tutti molto vulnerabili; o, almeno, io. E sono molto fragile, anche. Ci sono poi tante domande senza risposta. Per cui l’augurio, in questo invulnerabile, è la speranza di riuscire a trovare sempre una soluzione, una risposta, un lato positivo nelle cose, nelle avversità e nelle difficoltà.
Cosa si possa definire tale? L’atomo è invulnerabile, è ciò che ci rende simile al sole: noi siamo fatti di atomi, come il sole. Il pensiero non si sa di cos’è fatto. C’è sicuramente qualcosa di invulnerabile. Forse tutti siamo invulnerabili.
- L’America è qualcosa di affascinante o soltanto una fascinazione da sognare?
Sicuramente è una fascinazione da sognare. Gli Stati Uniti hanno saputo investire molto sul cinema, sull’entertainment (quello che è l’intrattenimento), che è diventato un grande mezzo per veicolare messaggi. Affascinante, poi. Io non ci sono mai stato, la percezione che ne ho è stata sempre derivata dai media. Sicuramente ci sono tanti aspetti negativi. comunque si tratta del nuovo mondo, il luogo dove gli uomini dall’Europa sono andati a cercare (pur facendo anche dei danni, con gli indigeni del luogo) dove portare a realizzare i propri sogni. Era un’immagine che mi serviva per rappresentare il sogno:lo scontro tra la realtà e la fascinazione. Una metafora tra i miei sogni e quelli che sono un po’ indotti.
- Che cosa ci dobbiamo aspettare in questo nuovo album? Come lo descriveresti con tre aggettivi ?
Difficile descriverlo con tre aggettivi. Fragile; il suo opposto, quindi forte e… coraggioso!
- Quanto pensi sia importante saper trovare il bello in ciò “che è”, senza cercare qualcosa di irrealizzabile?
È difficile riuscire a vedere il bello che c’è. Siamo talmente circondati da cose belle, utili e preziose che non le vediamo neanche! Siamo sempre alla ricerca, – io stesso lo sono! – di qualcosa d’altro. C’era John Lennon: «La vita è ciò che ci accade, mentre tu pensi ad altro». Per cui, è difficile vedere il bello per ciò che é, vedere la bellezza di ciò che ci circonda. Sono sempre preso da mille preoccupazioni, mille pensieri, mille, quando c’è già tanto: c’è l’aria, c’è l’ossigeno, c’è l’acqua che esce dai rubinetti, c’è la fognatura, con un sistema elaboratissimo di meccanica e fisica… Ci vorrebbe una rivoluzione d’osservazione, per la considerazione delle cose preziose, del bello; una rieducazione al bello. È difficile, perché si è sempre presi da tante immagini!
- “L’amore è costruzione”. Desti questa definizione molto bella in una vecchia intervista. Posto che (penso) tutti si voglia costruire qualcosa, vista la situazione attuale, è possibile che a mancare sia la volontà di ri-costruire, laddove sono avvenuti dei crolli?
In questi tempi si tende a buttare via, fa parte un po’ della nostra mentalità. C’è una canzone, nel nuovo album, che parla di questo: Riattaccare i bottoni. Una volta scoppiavano le guerre, per ricostruire tutto. Non ci rendiamo conto che se scoppiasse oggi la Terza Guerra Mondiale, sarebbe un disastro. Io andavo a trovare mia nonna, che aveva vissuto la Seconda Guerra Mondiale; riattaccava i bottoni, rammendava le calze con l’ovetto di legno. Il suo grembiule da cucina era cucito e ricucito, sarà durato trent’anni. Io butto via un sacco di cose che non rammendo! Chi è che rammenda le calze, adesso?
Questo poi è un po’ riportato ai rapporti: si buttano via. L’amore è difficile: richiede impegno, sacrificio, compassione, comprensione, sforzo, lavoro. Due persone che si amano troveranno tante cose diverse quante assieme, quanto è l’amore che li unisce e che non è spiegabile; tante cose spiegabili possono poi andare in contrasto. C’è bisogno di rispetto. Tutto questo richiede volontà. Se c’è distruzione, non è amore. Mi dispiace, però è un po’ frutto forse anche del nostro considerare in generale le cose, l’amore per tutto: siamo diventati un po’ meno affezionati alle cose. Mia nonna filava la seta, quindi lei sapeva quanto valeva un filo. L’industria ha permesso di creare fili di cotone senza sforzo. Gandhi si filava il vestito da solo. Vai a filarti tu un vestito, fatti tu una maglietta… poi non è che la butti! Si dà per scontato che ci sia qualcuno faccia per te, ma non sai come né perché. E così, forse ne risente un po’ l’amore. Ma, forse, allora, non è amore.
- “Solo un amico che ti ama può diventare specchio”(Il drago verdolino, Tricarico, 2002): un verso geniale, secondo me. Se posso chiedertelo, nella tua esperienza, rispecchia un ideale di amicizia o hai avuto la fortuna di realizzarlo?
È più ideale. Un’esperienza simile mi è capitata più sotto forma di incontri, non esattamente amici. Una persona che mi faceva vedere le cose per quelle che erano realmente e non per come le vedevo io: in quel momento tu rimani attonito. Mi è capitato così: vedendola con gli occhi di un’altra persona, ho capito che la mia idea della realtà non corrispondeva ad essa. Ci sono questi incontri, magari “amicizie” di mezz’ora. Poi ho degli amici, ma non hanno rappresentato per me questo “specchio”. È successo, ed è meraviglioso: sono quelle cose impreviste che ti sorprendono, ti svegliano. A volte, una persona, da sola, non riesce a vedere; si dice che una persona da sola sogna, se il sogno è fatto da due persone non è più un sogno: è vero [NdC: citazione liberamente ispirata a don Helder Camara: «Chi sogna da solo è solo un sogno. Chi sogna insieme è la realtà che comincia»].
- La musica è cultura? È abbastanza valorizzata, nella società, oppure è ai margini?
La musica è ai margini, in Italia più che mai. In Inghilterra diventano baronetti: John Lennon, Mick Jagger sono baronetti. Sono considerati – potrà non piacere ciò che dico – portatori di cultura , c’è un’alta considerazione. Ma anche in Francia: lì il 90% della musica che passa alla radio è italiana. C’è una tutela. Se la musica è tutelata, significa che è considerata e rispettata. La musica è oltre i margini. La musica è molto importante. La canzone popolare è molto sottovalutata, è maltrattata. E questo mi dispiace molto: non è sempre stato così! Non c’è memoria storica: le radio sono un mezzo importante di memoria storica. Non parliamo dell’opera, che ormai è dimenticata completamente. L’opera italiana, conosciuta in tutto il mondo: non credo che ci sia una radio che trasmetta un’aria, a parte quelle di nicchia, che trasmettono unicamente musica classica. Non c’è un pezzo di Domenico Modugno o degli Anni ’60 nelle principali radio commerciali. Questo è un male: andrebbe tutelata legislativamente (ad esempio, chiedendo di trasmettere il 70% di musica italiana). Andrebbe contro il libero mercato. Ma quanto è giusto il libero mercato, nel momento in cui trasmetti solo musica straniera? Che poi non è musica straniera, perché non ci sono canzoni turche, giapponesi o cinese: è musica statunitense! . La canzonetta è cultura e può fare tanto, ma non viene considerata assolutamente.
- Che ruolo gioca l’emozione, su un palco? Hai mai avuto problemi a starci sopra?
Dipende dal palco. Quando vai a fare un tuo concerto, è bellissimo, perché c’è tanta gente che è affezionata a te (o, curiosi, se avviene in una piazza). Però c’è tanta gente che ha scelto di essere lì. In televisione è un po’ diverso, perché non sai chi è il tuo referente. Quando sono sul palco, chiaramente non ci penso, ma Sanremo è un po’ più difficile da gestire di un concerto mio (ad un mio concerto ci sono i miei musicisti, c’è un altro clima, un altro feel). A Sanremo c’è più tensione, più costrizione, nonostante si stia andando su un palco splendido, ricco di storia e tutto. Più che amore-odio, in certe situazioni è più difficile. Però la tensione è buona, perché con quella di accorgi di essere vivo, non puoi scappare. Ci sono tante situazioni in cui tendo a scappare: il palco è qualcosa che mi porta fare i conti con me stesso, da cui non posso e non voglio scappare.
- La musica come lavoro: per alcuni è difficile accettarlo; com’è, per te, viverla?
Ritorniamo alla considerazione della musica in Italia. In altri luoghi, il musicista è una professione difficile. Io ho imparato un linguaggio estremamente complesso, che non si impara a livello scolastico: riguardo all’apprendimento del linguaggio musicale (melodia, armonia, solfeggio e tutto ciò che riguarda la musica) c’è molta ignoranza,nel senso che non si conosce neanche il modo. È bello, è una grande fortuna avere una passione che ti permette di vivere. Mi dispiace che non ci sia un riconoscimento (nel mio caso c’è): ma per molti musicisti che conosco non c’è, non è considerato un lavoro. Questo mi dispiace, perché scrivere canzoni, pensare, riflettere, interpretarle è un lavoro difficile; chiaramente, ha tempi diversi da altri lavori, ma è un lavoro come il dottore, che lavora sempre: così chi scrive canzoni, lavora sempre, sempre a caccia d’idee. La mia attenzione è sempre rivolta a questo; anche se, chiaramente, ci sono anche altre passioni, c’è la vita…
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Dopo l’uscita di America, il singolo che ha preannunciato il ritorno del cantautore milanese Francesco Tricarico, esce il 2 aprile nei negozi e il 26 marzo in pre-order su iTunes, l’album “Invulnerabile”. Questo il titolo del lavoro, prodotto da Marco Guarnerio e Tricarico, che giunge a distanza di due anni da “L’Imbarazzo”, datato 2011; un lasso di tempo in cui Francesco ha raccolto pensieri e parole e, con la creatività che solo lui possiede, ha meticolosamente cucito insieme in undici canzoni.
Quella di Tricarico è una poesia agrodolce, è uno sguardo da una finestra al tramonto sotto la quale scorre lento il mondo in fotogrammi continui e, a distese di campagne fiorite o rinsecchite si alternano le strade della metropoli, abitate dalla gente in corsa della quale descrive sentimenti e emozioni. Lui sta a guardare e ci racconta nei brani de L’invulnerabile l’amore, la tenerezza, l’ingenuità, il candore, l’amicizia; ci narra di un volto e del pensiero dell’altro che si legge in un fiore che sboccia. Della vita “che vale la pena essere vissuta e sorridere è molto importante anche quando tutto sembra … un sorriso e va a posto”.
Ogni cosa raccontata con la musicalità a cui Tricarico ci ha abituati in questi anni e la costruzione di un pop d’autore delicato e sensibile.
Nel disco anche una rivisitazione del singolo “Io sono Francesco” che nel 2000 fece conoscere l’artista al grande pubblico.
Undici tracce, undici favole “dove sarai invulnerabile e troverai dentro di te ogni risposta a ogni perché” … che Tricarico ci regala in questo album: uno scrigno prezioso il quale una volta aperto illuminerà il giorno timidamente come un sottile raggio di sole in un cielo grigio.
Per Informazioni:
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