C’è da restare meravigliati dalla forza che ha la vita, forza che s’attorciglia nei capelli: «La terra lasciava fare, godeva, era stata troppi anni solo a prendere pioggia e sole. Voleva tornare a vivere» (E tu splendi, G. Catozzella). E quando, poi, le cose arrivano, non se ne vanno più. Basterà poco più di nulla – una porta aperta, un accenno di primavera, il profumo di bucato – per ritrovare serenità: la bellezza delle piccole cose. Quella che celebrava il Cristo dei Vangeli che, per il rapporto speciale che tesseva con Dio, non sbagliava: «Il Regno dei cieli (…) è come un granello di senape (…), che è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno». Un’idiozia, un fastidioso paradosso, un’esagerazione che imbufaliva i topi da biblioteca di Gerusalemme: Lui, quando vuole spiegare l’immenso, parte sempre dall’effimero, dal quasi banale, da ciò che staziona sotto gli occhi di tutti senza che nessuno s’accorga della sua esistenza. Si è innamorato al punto tale della terra da farla diventare lo specchio delle sue catechesi sul Cielo. “Tu hai il mondo in mano, io sono piccolissima a confronto: un piccolo sassolino a bordo-strada. Eppure ti sei accorto di me” ha scritto una ragazza a quel girovago che le ha acceso d’improvviso il cuore. Lui a lei: “Proprio così, ti ho trovata a bordo strada. In quel sassolino, però, ho intravisto quel mondo intero che pensavo di tenere in mano”. È incredibile l’effetto che produce lo sguardo quand’è gettato sulle persone: le fa diventare diverse, le rende ancora più belle di quelle che già sono. Dilata il mistero che sono: «(È il più piccolo) ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Dio-esagerato, sempre.
Funziona esattamente così anche il Regno di Dio, parola del Cristo-poeta: nelle sfumature s’adombra l’immenso, nel piccolo sta celato l’infinito, nell’uomo è andato a confinarsi Iddio: “Attenzione, fragile! Maneggiare con cura”. Pare nulla, tutt’al più poco – una semente, un peccatore, un dettaglio di poco conto – eppure è lo scacco-matto del Cielo: «Dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce». Gettato sulla terra, più nulla l’arresterà: il sole, la terra, il silenzio faranno il resto: «Col sole ero molto più coraggioso, non ci avevo mai fatto caso al coraggio che il sole ti dà» (G. Catozella). Il Vangelo è il canto della bellezza minima: le piccole cose non hanno grosse pretese, per un attimo solo risplendono, ma è come se fossero immense. È uno sguardo, un abbraccio, un tocco: l’infinitamente piccolo fa accadere l’immensamente grande. La bellezza vereconda del Vangelo è tutta qui, materia da bambino: la fisionomia del Regno di Dio è cosa apparentemente di poco conto, pure lei. “Tutto qui” va dicendoci; s’aspettava un’arroganza pari a quella di Lucifero: “Sì, è tutto qui. Piccole cose. Ma sono loro, non le grandi, che fanno la vita. Il Regno di Dio”. Piccole-cose che, Cristo lo sa bene, non sono briciole. Alle briciole Iddio preferisce il nulla: le briciole – che sono avanzi, sorrisi a metà, mezze carezze – sono l’identità di Lucifero, le sue colossali sbornie, avanzi di pane e d’affetto venduti al prezzo di un’intera cesta. “Prestate attenzione alle cose piccole”, alle persone a bordo-strada, a tutto ciò che è fragile: «Nelle grandi cose, gli uomini si mostrano come conviene loro mostrarsi; nelle piccole, sono come sono» (N. De Chamfort).
Il Regno di Dio, a sentire il Cristo, è tutto qui. Distrarsi è perderlo, perdersi.
Capita così con Dio, come nelle storie d’amore terrene: una grande esistenza nasce dall’incontro con una grande occasione. “Sei bellissima! Ma se riuscirò a salvarti l’anima, diventerai un capolavoro” disse l’uomo a quell’anima raggiunta nel fondo alla scarpata. In tanti, ora, s’accorgono di lei: sorride. È l’allegrezza del Vangelo: la prima volta che uno vede un seme, non sempre intuisce ciò che quel seme contiene. Chi lo intuisce, però, inizierà a misurare il tempo in brividi.
(da Il Sussidiario, 16 giugno 2018)
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa (Marco 4,26-34).