Il gufo delle nevi, il picchio rosso e la passera scopaiola. L’urogallo, il fagiano di monte e la pernice bianca. I temporali di primavera, i caprioli alla guerra e i segni sulla neve. Ghiri e lepri in fuga per la vita. Storie commoventi e barbare che hanno agganciato lo sguardo e la passione di un’intera generazione cresciuta lassù, dove la neve scende silenziosa e l’inverno arriva puntuale. In quel limite abitando il quale la natura insegna all’uomo il giusto meccanismo per evitare il dramma del male. Nei suoi libri vive la gente semplice che, uscita stremata dalla guerra, riparte dai relitti di quest’immane naufragio per riannodare i fili di una speranza perduta. Per ri-colorare i segni che le pernici lasciano sulla candida neve. Il suo viso era austero e silenzioso – incrocio di afflato poetico e argutezza esistenziale -, i passi lenti ma ricchi di storia elevata nel lontano Don. Possedeva l’arte della semplicità: snocciolare l’eternità in umane parole è patrimonio riservato alle menti abitate dal genio. E fecondate dalla conoscenza esatta delle realtà quotidiane. Non compì viaggi trans-oceanici ogni week-end: e questa rimarrà la nostra condanna. Perché ha mostrato, elargendo vita nella sudate carte a Matteo e a Tonle Bintarn, che si può trascorrere l’esistenza in una contrada sperduta, magari al limitar del bosco, e conoscere alla perfezione le leggi che regolano il mondo, l’amore e il dolore. I suoi personaggi non hanno mai fatto carriera nella vita: sono sempre rimasti minatori, ferrovieri, venditori di stampe, allevatori di cavalli, giardinieri e boscaioli. Gente volutamente semplice che, ritrovandosi con una pipa in mano al calar del sole, raccattavano pace e spandevano serenità nel palcoscenico dell’umano vivere. Proprio per questo sono entrati con la schiena diritta e con simpatica accoglienza nelle case dei suoi semplici e affezionati lettori! Questo rimane il Premio Nobel conferitogli dalla gente.
Nel cuore permase piantato il gelo della Russia, il gusto delle patate cucinate nelle lontane isbe, le colonne di truppe, le file di ambulanze e l’odore del grasso sulla punta del fucile. Testimone oculare della follia umana e cantore inferocito dell’umana speranza, trascorse il resto della sua vita a tratteggiare frammenti di semplice bellezza, di autentica maestria, di provocatoria e appassionante arte di ri-partire.
Arrivederci Sergente, nello slargo degli urogalli stasera qualche fiocco di neve scenderà lento!
La foto di Mario Rigoni Stern è tratta da http://www.gazzetta.it/