Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

spinadorsale
La cattedrale traboccante di gente, l’incenso che sale superbo dalle navate e quel canto intonato per spargere odore di mistero dappertutto. Oggi, nella cattedrale di Padova, tre giovani vengono ordinati sacerdoti: Marco, Pierclaudio, Giovanni. La loro anagrafe, sommata, manco arriva al secolo: le facce sono più bambine che adulte, l’impreparazione ad andare eccede di gran lunga l’essere certi d’arrivare. La loro è una sfida all’altezza dei duecento anni de “L’infinito” di Leopardi: fragili come cristalli di Boemia, andranno nel mondo per condividere con l’uomo l’unica sfaticata che meriti, il chiedersi «ove tende questo vagar mio breve». La gente, vedendoli, dirà: “Sono troppo giovani per fare i preti”. Chissà se esisterà un’età consigliata per tracciare la destinazione alla vita. Ciò che loro importa – è l’apprensione che albergherà nel loro cuore – è il dover rimanere fedeli alla loro umanità, accettando che Dio la impasti con la sua grazia. Cosa conterà, allora, se il mondo si ostinerà ad andare diritto per la sua strada, che sovente sarà opposta a quella che loro additeranno? Dovendo aiutare l’uomo a credere al sorprendente, qualcuno di loro giurerà d’essere già stato fregato troppo.

Un prete marchiò con la pressione del fuoco la destinazione del sacerdote: «Guai se il prete si dimentica di essere uomo» (P. Mazzolari). Uomo-di-Dio, eppure uomo tra gli uomini: di nessuno perchè di Dio, di tutti perchè consacrato a favore della santificazione di tutti. Alla loro età, nessuno più penserà: domani chiederanno loro risposte su tutto. Pretenderanno che ne sappiano di botanica, giardinaggio, elettricità, gestione di affitti, organizzazione. Da loro – chiamati da Dio perchè «stessero con Lui» (Mc 3,14) – più di qualcuno male accetterà di vederli seduti a pregare in chiesa: “Con tutto quello che c’è da fare, son sempre là, breviario in mano”. Per questo, invece, nascono e vengono al mondo oggi: per stare con Lui. La preghiera come stage, l’adorazione come addestramento, l’umanità come campo di battaglia: mendicano a Dio ciò che il mondo, ch’è mendicante, chiederà loro come gesto d’elemosina. Ciò che diranno con la loro vita – “Sogno d’esser casto, povero, obbediente” – sembra oggi un controsenso nell’epoca delle pulsione, dell’ingozzamento, della pigrizia. Loro, invece, lo promettono chiedendolo a Lui, sdraiati a terra come tronchi invertebrati.

E’ così: sarà Dio la loro la spina dorsale.

Via da prete, insomma. Quella che ancora oggi, nonostante tutto, continua a brillare preziosa: «La castità perpetua la giovinezza. Nei volti scavati di alcuni preti ho visto occhi di adolescente» (F. Mauriac). Occhi fissi a guardare dentro il miserabile della storia: peccati, drammi, sconfinamenti. Altrui, propri. Senza per questo perdere la certezza che ne valga la pena. Fradici di Spirito, sanno bene che la vera materia del racconto non sarà la miseria propria e altrui, nemmeno il non riuscire a tener fede agli impegni presi. La vera materia è che Dio, in mezzo a questa pochezza, continua a camminarci accanto. Attraverso i nostri preti.

(da Il Mattino di Padova, 2 giugno 2019)

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