Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

staziorbis
Una “Statio orbis” non è fanta-teologia, tanto meno un’estrosa proposta di chi, per alzare l’asticella, avanza l’improponibile. Quando l’ho proposta – nelle vesti di appello filiale a Papa Francesco dai microfoni di A Sua Immagine (15 marzo 2020) – non era perchè la furia della diretta mi avesse giocato brutti scherzi. Dipendeva – benedetta dipendenza – dall’essere stato alunno di un professore di liturgia che a me, allergico alla formalità, mi ha fatto assaggiare il gusto della forma. La forma non è la formalità, è anticipo di contenuto, un preludio di ciò ch’è nascosto. E’ la veste stessa del Mistero. Nella figura di Pietro convivono l’apice della parola con il massimo del gesto: il parlare e la gestualità. Quando Pietro fa un gesto, lo stesso gesto che potrei fare anch’io, quel gesto ha tutt’altro valore: la figura che lo compie decuplica la potenza. Lo stesso vale per la parola: il parlare umano è, in un battibaleno, (dis)umano se pronunciato da Pietro. Non ci si rivolge a Pietro, dunque, con parole che prima non siano state pregate, inginocchiate, meditate, ponderate, soppesate. Una “teologia in ginocchio” è l’unica teologia possibile.
Perchè, dunque, una “Statio orbis” che interpelli tutto il pianeta? Perchè, nel mezzo di una corsa scatenata, c’è bisogno dell’arresto: “Perchè corri se non sai dove andare?” ho letto sul muretto di una stazione ferroviaria. Viviamo di corsa, in questi giorni di arresti-domiciliari-pubblici: siamo bloccati fisicamente, siamo a correre tutti sulle tastiere. Le dirette, gli streaming, gli appelli, le condivisioni. E Cristo sballottato, anche ufficialmente, nell’oceano dei retweet. Col rischio, anche nella vita della Chiesa, di fare la gara a chi la spara più grossa: la creatività – il Papa l’ha elogiata in un Angelus – corre, però, sempre il rischio di diventare ridicola quando non nasce in ginocchio. Quand’è isolata dal centro. E il centro, nella Chiesa, è il successore di Pietro, il Vicario di Cristo in terra: il Papa. Il Papa con la Chiesa in sua compagnia. Una “Statio orbis” è una fermata: avete presente la stazione della vecchia ferrovia? Immaginatela così: si chiede al treno di sostare un attimo, di fermarsi alla stazione di San Pietro, di raccordarsi con Cristo. Non è perdita di tempo, è prendersi del tempo: una sosta, nel fluttuare della storia, «per fare un bilancio del cammino percorso e per rinfrancare le forze verso traguardi futuri della storia e del tempo. In quella sosta è simbolicamente coinvolto e presente l’intero mondo cristiano» (G. Marchesi, Civiltà Cattolica, 2000, q. 3607, p.173). Come quando capita che la Chiesa faccia una “Statio orbis” davanti all’Eucaristia: “ferma il mondo” davanti ad un piccolo frammento di Pane, che per i cristiani è Cristo (e Cristo è Dio), perché solo in Lui siamo salvi. Un po’ allo stesso modo immagino che un uomo, Pietro, chieda di “fermare il mondo” davanti Cristo perché il mondo creda che solo in Dio siamo salvi. Cosa volete che vi dica? E’ come chiedere l’umiltà del mondo che tanto manca, quel “non ho bisogno di Dio” che si sta rivelando la forma moderna dell’ateismo.
Era questo il senso recondito di quell’appello rivolto a Papa Francesco: “Tu che sei Pietro, proponi al mondo intero di fermarsi con te. Digli: tu prenditi cura dei malati, aiuta, studia, ricerca e allevia le sofferenze. Ma non dimenticarti mai che Dio è la sola cosa di cui necessitiamo veramente”. Una sosta mondiale per condividere la ragione della nostra speranza: “Siamo dentro una prova tutti, pastori e fedeli, ma il Papa è con voi per gridare a Dio: Signore, liberaci! Se il mondo, i governi, la medicina ci danno tutti gli aiuti necessari – e siam loro grati di questo – lasciate che mi rivolga ai credenti e dica loro: Non dimentichiamo di gridare a Dio: Signore, liberaci!”. M’immaginavo, pregando le notti precedenti, Pietro da solo, nella piazza deserta, o dentro la Basilica più cara alla cristianità, deserta. Lui, da solo: che la gente vedesse quanto peso porta in spalla questo condottiero indomito. E Lui, il Papa, a farsi ponte (lui che è Pontefice Massimo) tra la Terra e il Cielo. Forse il mondo non è comprensibile, ma è abbracciabile: il Papa a stendersi come arcobaleno per tenere aperta la carrozzabile per il Cielo.
Oggi l’ha annunciata questa “Statio orbis”: venerdì prossimo 27 marzo, alle ore 18. Per qualche minuto tutto il mondo che vorrà, si stringerà attorno a Pietro, tutti stretti attorno a Cristo. E la Chiesa diventerà un’affollata stazione, un incrocio di treni: «La vita è una stazione dove si staccano biglietti per l’aldilà» scrive Guido Rojetti. Mi piace pensare, in questi giorni confusi, che nei tanti treni affollati che viaggiano spediti, ci sia qualcuno che passa a chiedere le destinazioni.
Per correre, ma non “tanto-per-correre”.

don Marco Pozza
parroco della Casa di Reclusione Due Palazzi di Padova

(*) L’appello: «Papa(‘) Francesco, in ginocchio: “Intervieni tu, fai presto!”», domenica 15 marzo 2020

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