Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Piantò la
vigna: vangata e sgombrata dai sassi. La circondò con una siepe. Vi scavò un
frantoio. Costruì una torre. La diede in gestione a dei vignaioli. Ma anche il
Dio, quello Amante della vita, sembra mancare le previsioni. E’
dall’inaugurazione primordiale del Giardino – quello in cui la Scrittura lo pizzicò
scendere per passeggiare con l’uomo e la donna – che i risultati paiono
dichiarare perdente Dio. Sconfitto. Illuso. Menomato. Tutta colpa d’aver
scommesso sull’uomo, questo "rischio celeste" che si diverte a far sgambetti a
Dio. A storpiargli i piani, a rovistarne le carte, a tarpargli i sogni. Ad
accendere pericolosi ripensamenti nella Mente Creatrice: "Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che non l’abbia fatto?"
(Is 5,4). Tutto. O niente se scelse la via del ridicolo per raccontare la sua
fiducia disarmante. La sua scommessa perpetuatasi nel tempo. Ostinatamente.
Incredibilmente.
Cosa
mancava nella vigna nella notte dei cristalli, nel fumo di Birchenau, nella
strage angosciata di Srebrenica, negli untori cinesi del latte, nell’assurdo di
Hiroshima, nella follia disumana dell’India, nella cenere di Napoli? Nella
violenza del bambino, nella noncuranza per l’uomo, nell’adulterio della chiesa?
Nel silenzio codardo? Verrebbe da dire: "Smettila, Signore. Non perder tempo
con noi". Che affittiamo la vigna, la pubblicizziamo, ne organizziamo
immeritatamente la vendemmia. La facciamo diventare azienda, occasione
manageriale, strumento di ricatto. La violentiamo, la trascuriamo, la mungiamo.
Ne usiamo i prodotti coprendone la firma. Incredibili dissonanze sotto le
stelle. Bastava un monolocale in affitto (con vasca idromassaggio, angolo
cottura e una tv al plasma): abbiamo trovato una vigna. Cioè la festa: la
dolcezza degli acini, il sapore del mosto, il profumo della vendemmia.
Troppo per
non appropriarsi del progetto.

vigna.jpg

Confrontati
a noi, avanzano trionfanti verso la beatificazione i sommi sacerdoti e i
farisei: almeno intuirono che parlava di loro. Ma la paura li bloccò
nell’ucciderlo: c’era una folla che s’aggrappava alle sue labbra odorose di
cielo. N’ebbero coscienza: oggi s’è deciso d’offuscare pure la coscienza. La
vigna c’è, ma l’hanno resa terreno edificabile. Sradicate viti, uva e gioia. La
precedenza al marketing: si necessita di un auditorium, di un impianto
microfoni, di tele restaurate. Di campetti da gioco, di fotocopiatrici, d’estetica
religiosa. Di zucchetti, onorificenze-onoranze, promozioni. Di religiosa
formalità assai prossima all’odore del diserbante.
"Vi sarà tolto il Regno di Dio e verrà dato ad un
popolo che lo farà fruttificare"
(Mt
21,43). Distrutto il tentativo, rimane il sogno. Magari messo nelle mani di chi
non lo incensa, non lo conosce, neppure lo nomina. Mani che trasformino la
vigna in una cosa smisurata e luminosa.

Le biblioteche
rigurgitano libri. Calvizie spese per scrivere, annotare, ricamare. Riflettere.
Manuali infiniti, enciclopedie dalle copertine in pelle, scansie di fogli
scarabocchiati. Ma nessuna conclusione s’avverte nel labirinto del pensiero. Disastrosa
la capacità di sintesi che vanta la Scrittura: c’era una vigna, ha prodotto uva
acerba, la renderò un deserto.
Forse non
serve nemmeno: ci stiamo già pensando noi. Magari nascosti sotto vesti evocanti
indegnamente il cielo.

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