Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

guano

L’invidia è una brutta bestia. E’ inutile camuffarla, come pure la cattiveria e la falsità, dietro sprazzi di bontà, di vittimismo: anche lo sporco, sotto il tappeto, non si vede, ma c’è. “L’invidioso è come lo stupido – mi diceva il nonno quando ero bambino – : ti guarda, ti critica, ti commenta, se non trova s’inventa. Padre di questo vizio, che Giotto di Bondone affresca a tinte luride e cupe nella Cappella degli Scrovegni a Padova, è Lucifero, quel pestifero di Satàn che non riuscendo a competere né eguagliare la forza selvaggia e disumana d’Iddio cerca in ogni modo di sporcarne l’operato. Somiglia, l’invidia, al guano fastidioso degli uccelli: ne basta una piccola percentuale per sporcare la vetrata, rovinare un affresco, o semplicemente render sozza una superficie. L’invidia è il guano, la cacca, del Demonio. Una sorta di morte, dell’anima, perchè – recita senza lasciare dubbio di sorta il libro della Sapienza«la morte è entrata nel mondo per invidia del Diavolo; ne fanno esperienza coloro che gli appartengono» (2,24). Con l’invidia Satàn fece la sua confessione d’inferiorità nei confronti d’Iddio. Del suo Cristo.
Fece fritta l’umanità intera, colpendo alla radice il casato di Adamo ed Eva: d’allora, ciascuno che nasce nasce col cappio del peccato sul collo. A ciascuno verrà detto che, un giorno, morirà: tutti, principi e reietti, santi e mascalzoni, pii e infami. Nessuna eccezione, eccetto una: Maria di Nazareth. Quella che nonna, nel suo latino pittoresco, amava onorare sine labe originali concepta, concepita senza il peccato originale. Tant’è che un giorno, vedendola con quel suo arnese sempre tra le mani, le chiesi cosa fosse quello spago con tanti grani attaccati. E lei, il cui volto è stato il mio primo libro di teologia, non mi disse ch’era il rosario ma si superò: “Questa è la corda d’impiccagione del Demonio, Marcolino” disse alzandola davanti ai miei occhi vispi. Nonna non vantava studi di teologia alle spalle, inciampava spesso nei congiuntivi, si esprimeva sempre nel dialetto musicale della nostra terra veneta. La sua lingua madre, ch’era anche la lingua ufficiale di quella generazione, era il rosario. Mettendo in bella mostra la corona, era come se mi traducesse, con il linguaggio dei segni, la più grande condanna a morte mai più enunciata sulla faccia della terra: «Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe – disse Dio al serpente codardo -: Questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Gen 3,15). Resta, a tutt’oggi, il mandato di cattura internazionale che pende sulla testamatta di Satàn. Con la recita del rosario, gli si rinnova la promessa: “Impiccati, imbecille: altrimenti sarà Lei a impiccare te”. Lui non molla, Lei manco: ogni giorno è una rissa continua.
Maria, dunque, è l’invidia di Satàn: siccome non può nulla contro di Lei, Le riserva sospetti, dubbi, maldicenze, porcherie di ogni sorta. “Non esiste, non ha potere sul Figlio, manca persino la tomba, non aveva corpo. E’ tutta una favola”. Lei, con passi felpati, incassa i colpi, non smarrisce la rotta, gli sta alle calcagna a pari modo di quanto stia alle calcagna del Figliolo. Il rosario, oggi, è la lingua più ospitale che esista: fa risuonare il Figlio nelle lodi rivolte alla Madre. Quando la sera diventa pesante e buia – sera naturale, metaforica -, mi aggrappo alla corona del rosario. Mi metto a scandagliare il Mistero-maiuscolo sprofondando in quei venti misteri-minuscoli che sono le venti tappe della preghiera a Maria: i misteri gaudiosi, quelli luminosi, i dolorosi, quelli gloriosi. M’innamorai di questa splendida monotonia orante il giorno in cui m’accorsi che, recitandoli tutti, mi era data l’occasione di ripercorrere l’intera vita di Cristo facendomela raccontare da sua Madre: e nessuna versione della nostra nascita è più attendibile di quella di nostra madre. Ogni giorno, ecco, un ripasso intero della vita di Cristo andando a ripetizioni da Maria. Per poi giungere a sera, smunto di peccati e d’imperfezioni, e chiederle, sfacciatamente, la raccomandazione: “Ti prego, Maria: quando vedi tuo Figlio un po’ disteso, parlagli di me, della piccola cortesia che t’ho confidato. Mi vergogno a parlargli direttamente!” Così facendo, esercito l’intercessione di Maria: le riconosco un potere di convincimento unico al cuore del Figliolo suo. Satàn, nel frattempo, si arrabatta nel fango come un lurido maiale: non sopporta che all’uomo sia stata affidata un’avvocata (Advocata nostra, ora pro nobis) che con patrocinio gratuito difende l’uomo dagli assalti del Demonio.
La Madonna, mi perdonino i suoi detrattori (ce ne son di cretini anche nelle sacrestie del Figlio suo), la prego appena sveglio, mentre m’affacendo nelle mie scorribande diurne, quando avverto la stanchezza tendermi agguati allo spirito, quando finisce la luce. Certe notti, poi, mi addormento recitando l’ultimo rosario. Quando, poi, mi risveglio, scopro di essermi addormentato aggomitolato a Lei: «Stare con te, Maria, in questo luogo dove tu stai – recita il poeta Paul Claudel -. Non dire niente, guardare il Tuo viso, lasciare cantare il cuore nel linguaggio che gli è proprio». E torno a tuffarmi nei racconti di nonna: “Questa è una storia sacra, Marco!” mi diceva, quasi a confidarmi il segreto più inconfessabile che le ribatteva nel petto. Sacra, però, lo è davvero: non conosco storie che abbiano il potere di superare il tempo e di mantenere inalterato il loro profumo. Il rosario è una di queste: l’ho udita in viva-voce dalle labbra delle mie nonne. D’allora il rap moderno, per me, è una smorta contraffazione di quel loro pregare assorto.

(da Vita pastorale, maggio 2021)

Copertina

Da lunedì 19 aprile 2021, in tutte le librerie, L’invidia di Satàn (San Paolo, 2021), il nuovo libro di Marco Pozza su Maria di Nazareth.

(dalla quarta di copertina) – Adesso è facile, «basta il suo nome, Maria, perchè gli uomini esagerino, non capiscano più nulla. La chiamano povera donna, Madonna, bella donna. L’Immacolata, l’Avvocata, la Regina. I poeti hanno grattato il fondo del barile per escogitare le parole più giuste, le meno slabbrate, le più ardite». Lei, però, ama presentarsi con passi felpati, raccontata dalle nonne ai bambini, pregata dai bambini per i nonni. Invocata da santi, delinquenti e criminali.
Marco Pozza, “alla prova di Maria”, ne celebra l’unicità tessendo in armonia la devozione popolare, la teologia cattolica, i racconti paesani. Rievoca la storia di Gesuina, una vecchia amica della nonna che, solo nel nome, teneva nascosto l’agguato di Maria. Del suo Figliolo: «Perchè Gesuina è la versione femminile del maschile Gesù». Maria è il Gesù in miniatura, «la versione umana più vicina al Dio (dis)umano». Dalla nonna, mentre cucinava i broccoli impastava i dolci, faceva la pasta a mano: l’ha conosciuta lì, l’autore, la Vergine di Nazareth.
L’invidia di Satàn, l’imbecille fatto carne.
Il libro è un viaggio dissacrante e profondo attraverso le quattro stagioni della Vergine, con sullo sfondo i venti misteri del santo Rosario, «la corda di impiccagione di Satàn». Una storia ch’è tutt’ora muro di cinta tra il tempo e il non-tempo. Tra l’uomo mortale e il suo Dio.
Storia di una Madre, affidata alle labbra: «Dovevate sentire nonna recitare il rosario!»

(per acquistarlo clicca qui)

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