Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Di fronte all’ingiustizia, noi tutti ci sentiamo con le mani legate. Gemiamo e ci indigniamo, pur con la cocente consapevolezza che, tuttavia, nessuno possa ritenersi, del resto, assolutamente immune al peccato, subendo la corruzione dovuto al peccato originale, dal quale tutti – inevitabile – rimaniamo influenzati. Dunque, se, da una parte, ci coglie il desiderio di “fare giustizia” (alcune volte, accade che lo confondiamo con la brama di vendetta, ma, spesso, quello che ci assale è davvero il desiderio, sincero, di giungere alla verità tutta intera – Gv 16,13), dall’altra, ci rendiamo conto, che, spesso, per vari motivi (mancanza di tempo, opportunità, competenza, su tutti) non ci è proprio possibile intervenire direttamente.
Cosa ci resta dunque? La cosa più importante: noi stessi. Il principale strumento con cui ci è data la possibilità di poter cambiare il mondo. Infatti, oltre un dato limite, gli altri non possiamo cambiarli: possiamo aiutarli, incoraggiarli, istruirli, ma, in ultimo si frappone – inevitabilmente – il benedetto ostacolo della libertà, di fronte al quale persino Dio depone le armi.

Forse che il vasaio è stimato pari alla creta? Un oggetto può dire del suo autore: «Non mi ha fatto lui»? / E un vaso può dire del vasaio: «Non capisce»? (Is 29, 16)

Il brano di Isaia ci rinfranca e ci dà coraggio nel nostro tentativo di ottenere il meglio da quello che ci è consegnato. Noi siamo creature, non ci siamo “fatti da soli”. In questo risiede, non solo l’autenticità, ma anche la nostra fede Dio sa. Sa chi siamo, di cosa siamo capaci, anche più di quanto noi ci rendiamo conto. Conosce le ingiustizie e le sofferenze, ma accetta la sfida di mantenerci liberi, affinché la scelta di seguirlo possa nascere da una scelta d’amore e non da una forzata imposizione da parte Sua.

Voi invece vi siete accostati al monte Sion, alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a migliaia di angeli, all’adunanza festosa e all’assemblea dei primogeniti i cui nomi sono scritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, mediatore dell’alleanza nuova, e al sangue purificatore, che è più eloquente di quello di Abele. (Eb 12, 22 – 24)

San Paolo, come spesso accade, cerca di concretizzare l’unione tra la religiosità ebraica e quella – nascente – del mondo cristiano. Rievoca immagini care al popolo d’Israele, per poi “virare” bruscamente sulla figura di cristo, Figlio di Dio, senza il quale risulta difficile portare a compimento la comprensione delle Scritture. Egli non è solo il termine ultimo, ma anche il fine delle Scritture, che in Lui trovano compimento. Il monte Sion, la città di Gerusalemme richiedevano, a chi si accostasse loro, un rito di purificazione, in quanto dimora di Dio. Rappresentavano la presenza di Dio in mezzo al popolo. Eppure, tanti volsero le spalle.
A maggior ragione, ora che Cristo si fa concretamente presente nel proprio popolo, affinché non rimanga solo nelle peripezie della propria esistenza, non è possibile essergli incolpevolmente ostili.
A pochi giorni dalla celebrazione del martirio di san Giovanni Battista (che, nel rito ambrosiano è infrasettimanale), la liturgia ci propone alcune parole del Precursore che non possono che far riflettere.

«Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stata data dal cielo. Voi stessi mi siete testimoni che io ho detto: “Non sono io il Cristo”, ma: “Sono stato mandato avanti a lui”. Lo sposo è colui al quale appartiene la sposa; ma l’amico dello sposo, che è presente e l’ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è piena. Lui deve crescere; io, invece, diminuire». (Gv 3, 27 – 30)

Se la prima lettura invita ad una fede non solo esteriore ed ipocrita, ma radicata e profonda e la seconda ci ricorda in Chi debba essere radicata la nostra fede, il Vangelo ci mostra l’atteggiamento nei confronti del Maestro e, se possibile, anche tra di noi. Il Battista riceve gli elogi più grandi che abbia mai ricevuta un profeta, da parte di Gesù: di lui, dice che è “il più grande tra i nati di donna”. Il Battista, dal canto suo, ci tiene a non alimentare facili illusioni. Sicuramente era un tipo carismatico (oggi, diremmo così), eppure, non per questo era uno con il quale era facile avere a che fare. Basti pensare a come il suo amore per la denuncia della Verità lo porti a denunciare pubblicamente l’indegnità del ruolo ricoperta dal re: per questo motivo è incarcerato e, in seguito, giustiziato con la decapitazione. Il suo martirio è, però, solo il coronamento della sua testimonianza alla Verità, sempre cercata e difesa con coraggio, senza ricercare il soddisfacimento del proprio ego.
Accorrono a lui e gli domandano come sia possibile che Gesù, che ha ricevuto il battesimo da Giovanni, ora battezzi a propria volta. Insomma, la manovra è da abusivismo e si richiede un intervento del profeta “ufficiale”. Ma Giovanni non ci pensa affatto. Ribadisce quale sia il proprio ruolo: anticipa Cristo, ne previene le mosse, scava un solco, per facilitarne il lavoro. Ma non è Giovanni il Messia, ne è perfettamente consapevole. Sa per chi ha lavorato. E ricevere un tale annuncio è il segnale che il suo lavoro si avvia alla conclusione, che è giunto il tempo di consegnare il testimone al Nazareno, affinché prenda ora lui le redini del Regno di Dio da portare sulla terra. Ecco, da dove viene la sua gioia. Comprende che la sua missione è terminata e ha il privilegio di iniziare a vedere i primi frutti dell’azione di Cristo.

È proprio il modus operandi di San Giovanni Battista a costituire l’insegnamento, oltre alle sue parole. Le folle gli si accalcano, gli chiedono chiarimenti. Lui punta l’indice e dice: “Gesù è il Cristo, non io”. Avrebbe potuto alimentare il proprio ego, cavalcare la popolarità, tenersi stretti i propri discepoli. invece: li manda proprio tra le braccia del (presunto) rivale, chiarendo gerarchie e ruoli.
Penso sempre a San Giovanni Battista quale paradigma del buon discepolo di Cristo e, in particolare, dei buoni sacerdoti. Il buon sacerdote (e il buon discepolo) non lega a sé, ma “rinvia” a Gesù ed invita ad approfondire la conoscenza con Lui.

(Rif. letture festive ambrosiane, nella Prima Domenica dopo il Martirio di San Giovanni Battista)


Fonte immagine: Pixabay

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