Si fa toccare: è l’incredibile del Natale. A immaginarlo sembrava una pazzia, a sognarlo pareva di naufragare, a convincersi c’è ancora tanto da arrabattare. Un Dio da toccare: in un mondo di uomini che si sentono intoccabili c’è un Dio che decide di lasciarsi toccare. A Natale si lascia toccare, poco prima della Morte si lascerà addirittura mangiare: «Ecco il mio corpo: prendete e mangiate». Da Risorto nulla sarà più come prima: si lascerà toccare, eppoi gustare; lascerà che gli uomini lo vedano e lo sentano. Che tengano accesa la memoria di Lui. Il mondo non poteva accettarlo un Dio così, figurarsi adorarlo o anche solo fargli un po’ di spazio. Impossibile da chiedere a uomini e donne che dall’eternità s’intestardiscono a diventare dio, fino a sentirsi dio: onnipotenti e intoccabili. Giacché «non c’era posto per Lui nell’albergo», rincarò la dose d’amore: la Bellezza scelse d’apparire nella zona degli animali, tra lordure di ogni sorta e odori sgradevoli, in compagnia di ciò che solo la natura poteva concedere: fiatone, paglia e carezze di donna. Nella stalla, quando cala il freddo, uomini e bestie sono tutti uguali: cercano un riparo, un riposo, un anfratto per non marcire. Dio, già da bambino, somiglia molto agli animali del bosco: da grande inizierà a muoversi – a farsi notare, a svelarsi, a lasciarsi adocchiare – solo dopo ore che s’accetta di rimanere lì, appostati e forse derisi da chi pensa che Dio sia facile da scovare. Che sia facile lasciarsi stanare.
Un Dio Bambino che, come fanciullo disarmato e ingenuo, prende la sua tenda in spalla e la va a piantare nel punto più distante da casa sua: nella terra degli uomini, lo spazio conteso tra la benedizione e la maledizione. Tra il Dio infante di Betlemme e l’uomo arrogante di Babele: tra la grotta e la torre, Dio sceglierà sempre la grotta. Dentro la storia: seriamente, drammaticamente, spudoratamente. L’Intoccabile che sceglie di farsi toccabile: perché più nessun punto della storia possa sentirsi lontano – o anche solo abbandonato, periferico, accantonato – agli occhi del Cielo. «E’ nato»: non sarà più la stessa storia. Nessuno potrà più dire: “lei non sa chi sono io!” per il semplice fatto che Dio ha scelto, invece, di far sapere a tutti chi era Lui, quale volto avesse il Padre suo, che faccia abbia la felicità quando si fa chiamare eternità. Tanto meno qualcuno potrà vantarsi d’essere “figlio di papà” – col segreto sogno di non sporcarsi le mani, di trovare la strada segnata, si scansare i sudori -: c’era un uomo che per davvero era “Figlio di Papà” eppure non s’avvalse di tale posizione ma scelse d’imbracciare l’umano vivere per farlo diventare il laboratorio della bellezza. Il luogo in cui si rimette mano alle esistenze perdute, travagliate, slabbrate.
Il Natale non è poesia, men che meno dolcezza o fantasmagoria. Natale è storia: una storia di confine, di sconfinamenti, di sconfinato tremore. Pensare, anche solo nel breve battito di una notte, che Dio s’è fatto uomo è sentire le spalle che pesano, le ginocchia che s’infiacchiscono, gli stantuffi di un cuore troppo umano per sorreggere i sogni di Dio. Il peso dis-umano dei sogni di Dio. Dopo ogni Natale la storia non rimane mai la medesima storia, quelle del Vangelo non sono mai più le “solite cose” di Dio, quel Bambino non è più la più piccola tra le statue del presepe. Tempo qualche giorno e, dalla postazione più piccola, mostrerà all’uomo le possibilità che gli sono a portata di mano: fare di una storia apparentemente fragile e funesta, quale sembra la storia di quaggiù, la postazione migliore per permettere a Dio di farsi storia. Alla storia di farsi Salvezza. All’uomo di diventare come Dio. Non d’essere Dio, ma di diventare come Dio: mai scontato, spavaldamente di sorpresa, sempre un passo oltre. A Natale si sogna in grande senza far sentire piccolo nessuno. Si sogna da Dio.
Buon Natale. Cristo è Nato!
don Marco Pozza