Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

429429_10150543694875826_56797605825_9359578_98988531_nÈ iniziata la Quaresima, tempo liturgico forte che ci richiama a sobrietà e che – a dirla tutta – ci sembra talvolta un po’ anacronistica, a partire da una terminologia liturgica che alle nostre orecchie suona un po’ obsoleta, inusuale e perciò ci dà quasi l’idea di essere una caricatura di se stessa.

O, meglio, sembrano parole vuote di significato, che possono giusto accontentare l’esigenza di chi sente il bisogno di “rispettare la tradizione”, ma che rischia di essere specchio bugiardo del significato reale che è poi incarnato nella concretezza dell’esistenza.

Liturgia sbagliata? Vita sbagliata? Forse il discorso è ancora più ampio.

È vero: non ho memoria di pianti collettivi per i propri peccati; però non è vero che il peccato non possa addolorare o ferire.

È vero: non siamo abituati a vedere gente vestita di sacco perché sta facendo penitenza; eppure, nelle nostre città, non mancano i “rifiutati”, che dovrebbero farci riflettere sulle parole che ha pronunciato anche il Papa, ammonendo sul rischio di un’economia unicamente basata sul profitto, che si dimentica della dignità dell’uomo, nella sua autentica e incalcolabile unicità.

Anche il digiuno sembra ormai cosa da bigotti o, come si dice in Veneto, basabanchi… eppure, sono convinta che questa, che è considerata una “tradizione”, possa ancora dire qualcosa all’uomo di oggi. A patto di non fermarsi al precetto e di coglierne la profondità con una prospettiva più ampia.

 

Probabilmente, ci sono due parole da riscoprire per poter comprendere tutto il resto: astinenza e sobrietà.

Sobrietà è la parola dei giorni feriali perché la Quaresima è la “festa” che celebra la ferialità, il quotidiano. È simbolo di grembiule e abito da lavoro, di chi ogni giorno è disposto a “sporcarsi, pur di portare a termine, compiendolo nel migliore dei modi, il proprio compito. È la parola di chi è felice di quello che ha, condizione imprescindibile per mantenersi felici, anche avendo di più…

Astinenza è una parola meno amata e ancor meno utilizzata del digiuno, tuttavia trovo che abbia un significato molto più ampio e utile a penetrare le vere motivazioni che spingono a fare questa scelta.

Astenersi significa “fare a meno di qualcosa”. E, di necessità, si può fare a meno solo di ciò che non è strettamente indispensabile. Ecco perché rappresenta la concretizzazione della sobrietà. Naturalmente bisogna pensare bene da cosa astenersi. Basti pensare che l’astenersi da un’azione necessaria si chiama omissione ed è anche punibile per legge (ad esempio, nell’omissione di soccorso…).

E l’astinenza da qualcosa non è altro che, in positivo, una preferenza per qualcos’altro che sia più utile, più fruttuoso anche se, magari, meno a buon mercato.

Eliminare ciò che è superfluo non significa centellinare le parole, piuttosto prestare maggiore attenzione a selezionarne la qualità. Quindi: astinenza dalle maldicenze, dai pettegolezzi e dalle dicerie, ma prodigalità nelle parole che incoraggiano, sostengono, incitano, consolano. Si tratta di scegliere con più attenzione ciò su cui si posa e sofferma il nostro sguardo, nella consapevolezza che anche lo sguardo è un gesto d’amore, forse il primigenio. Non si tratta di contare i passi, rinunciare allo sport o alle uscite con gli amici; piuttosto, si tratta di fare in modo che ogni gesto contenga pienezza di senso, sia portatore e restauratore dell’immagine di Dio impressa nell’uomo dal principio dei tempi.

Ma per farlo è necessario quel silenzio che fa affiorare – come iceberg – la verità su noi stessi, quella che ci consente di essere semplici e limpidi.

La Pasqua è la festa della libertà, di una libertà profonda ed interiore, che ci scioglie dai vincoli che ci rendono schiavi di paure, fobie, abitudini e costrizioni che ci allontanano dalla vera felicità. Tuttavia, questa verità non si ottiene in modo automatico. Ecco, allora, il senso della Quaresima: un tempo propizio per fare verità dentro e fuori di noi, con l’intento preciso di giungere a libertà.

 

Questo tempo ci riporta la quotidianità delle scelte e la necessità di scegliere: negli affetti, nella vita, nella fede; dimorando sempre nella raccomandazione di Cristo: “Rallegratevi, perché i vostri nomi sono scritti nei cieli!” (Mt 18).

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