monet
Quando la mia maestra, in IV^ elementare, me lo scrisse a chiare lettere, con il lapis, nel quaderno, mi vergognai di doverlo mostrare alla mamma: lo lessi, un po’, come un fallimento. Aveva scritto: Impreparato. L’interrogazione era stata un flop. Se la maestra l’avesse decretata gravemente insufficiente, insufficiente, da minimo-sindacale, scarsa, l’avrei accettata: “La maestra ha sempre il coltello dalla parte del manico” dicevano a casa mia le donne. Quelle che, sempre, han preso le difese delle maestre. Non ricordo la reazione della mamma, ricordo più che bene la sensazione che mi invase l’anima: avevo fallito. Impreparato, nella stagione della scuola, è forma altissima d’inadeguatezza. Quasi fossi stato un menefreghista, un tipo da svacco, uno che prendeva sottogamba la scuola. Per anni ho covato astio nei confronti di quest’aggettivo. Ero stato colto impreparato una volta: conclusi che avrei potuto esserlo per migliaia di altre volte. Perchè se una cosa è accaduta una volta, è molto più facile che riaccada piuttosto che se non fosse mai accaduta. Chiaro, semplice, lineare. Punto e a capo. Forse.
Da prete, in tutti questi anni, ecco rifare capolino quest’aggettivo maledetto, benedetto: “Non t’accorgi che sei impreparato a fare il prete?” Lo dicono, quelli che me lo dicono, tacendo un allegato lecito: “Non ti vergogni?” Impreparato ad essere prete, più che a fare il prete, verrebbe da specificare. Sottolineato così, appare ancor più pesante l’aggettivo: inadatto, incapace, fuori-posto, stonato. Ci sto pensando seriamente in questi mesi alla mia impreparazione in materia. Devo ammettere che, stavolta, hanno proprio ragione. Sono impreparato, lo ammetto, alla vita che sto vivendo: «Non è che non riescono a vedere la soluzione. E’ che non possono vedere il problema» annota lo scrittore G. Chesterton. D’altronde, come potersi immaginare di essere preparati all’incontro con la vera presenza di Cristo, con una devastazione di bellezza che ti cade addosso improvvisa? Sono un prete-impreparato a Dio, alle sue quotidiniane-perpetue scorribande nel mio gracile cuore. In una storia, la mia, che fa acqua da tutte le parti. E’ perchè sono impreparato che riesco ancora a stupirmi, vergognarmi, sopportarmi, volermi un pizzico di bene. Perchè se mi preparassi, vorrebbe dire che mi sto attrezzando per reggere i suoi attacchi, prevedere le sue imboscate, gestire i suoi silenzi. La mia storia l’ha raccontata, senza volerlo, Claude Monet dipingendo la meraviglia delle sue ninfee. Per trentasette volte ha dipinto lo stesso quadro ma, alla fine, ha scelto il primo. Perchè, mentre dipingi la prima volta, addosso hai il massimo dell’ignoranza in materia e il massimo dello stupore. Poi più le dipingi, più ti sei preparato e, dunque, è invecchiato il tuo grado di stupore: «La prima volta sarà la migliore perchè è la meno abituata; la prima ninfea sarà la migliore, perchè è la nascita stessa, l’alba dell’opera» (Ch. Péguy, Véronique).
Si può preparare la tela, impastare i colori, abbozzare un’immagine. Come si può studiare a menadito la teologia, abbeverarsi di scritti spirituali, allenarsi agli esercizi spirituali. Nel momento dell’opera d’arte, però, saremo tutti impreparati: la bellezza, quand’è tale, non accetta d’essere preparata. Manco le chiamate di Dio, nella Scrittura Sacra, lo accettano: non prevedono tempi di addestramenti, gettano nello sbaraglio più completo. Esigono l’impreparazione degli invitati, che è sempre preludio di cuore aperto alle più diverse possibilità d’esecuzione. Ci son sere nelle quali mi verrebbe da divorziare da me stesso, tant’è ostico lavorare la materia del mio cuore: “Sono anni che ci provi con me, Dio: lascia perdere. Son sempre lo stesso e tu mi dici che sono sempre nuovo per te”. M’arrabbio perchè Lui non mi lascia a bordo strada, m’infastidisce la sua testarda misericordia. Nel trambusto di sere così, ripenso spesso a Monet: nella sua carriera ha dipinto più di duecentocinquanta ninfee guardando sempre lo stesso stagno di Giverny. E, pensandoci, mi convinco di come uno sguardo d’amore possa rendere sempre nuove cose che sembrano sempre le stesse. Impreparate a sentirsi dire “Sei bellissima!” ogni primo mattino, abitano la condizione migliore perchè il pittore le dipinga. Perdonatemi se sono impreparato ad essere prete: non è di qualche giorno, è di sempre, da sempre.
E non ho nessuna voglia di prepararmi a Lui.

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