pioggiaUna percentuale al passo coi tempi: uno su dieci. Che poi, a leggerla bene – al netto delle supposizioni della matematica – lascia un che di irrisolto: uno contro dieci oppure dieci contro uno? (liturgia della XXVIII^ domenica del tempo ordinario) Certamente il punto di partenza fu uguale per tutti: essere lebbrosi significava essere la periferia dell’umano, il brandello lercio e disgustoso dell’umanità, anche di quella rattrappita ai piedi di Cristo. Lui cammina e loro elemosinano un pizzico d’attenzione: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. Che poi non è così male come richiesta: è l’umile appartenenza di chi dice “senza di te siamo perduti, salvaci Maestro”. Quel Maestro che, lungi dal voler apparire un factotum dell’umano, li manda dai loro sacerdoti a farsi guarire. Non è disinteresse, e nemmeno un anticipo di quello che con Lui farà quel grande genio di Pilato. E’ semplicemente il rispetto di una tradizione che regnava a quel tempo: solo un sacerdote può attestare la tua guarigione, perciò recati da lui. Chissà quali sentimenti al rintocco di quella risposta: desolazione, malinconia, amara sensazione d’essere nulla anche ai Suoi occhi? Li manda perchè ogni percorso di fede è un cammino, è un ripartire ad oltranza, è un fidarsi che qualcosa cambia, che qualcosa sta già cambiando. Che la lebbra ha già cominciato a diradarsi nel mentre Lui ha poggiato il suo sguardo: ci vuole fede per mettersi in cammino, convinti che qualcosa accadrà. Come quella bambina conosciuta in una borgata dispersa della pianura padana: quel giorno – nel mezzo dell’arsura estiva – i contadini del suo paese si dettero appuntamento in chiesa per invocare la pioggia. Solo lei, però, si presentò in chiesa con l’ombrello in mano, in pieno agosto: l’unica che davvero era convinta che Dio avrebbe concesso loro la pioggia.
La bambina e i lebbrosi: “mentre essi andavano, furono purificati”. Dio non se ne infischia, non rifugge dalle sue responsabilità, le sue non sono le orecchie di un mercante ma quelle di un innamorato smemorato, sensibilissimo al minimo spostamento di una foglia lungo il sentiero battuto dall’amante. Quel sentiero dove, ignari di tutto, s’è avverato il miracolo della guarigione: non uno su dieci, non tre su dieci ma dieci su dieci. Le vittorie di Cristo sulla morte sono schiaccianti, le uniche umiliazioni che non ammettono replica alcuna, dimostrazioni ineccepibili che nulla si può contro il Cielo. Il cento per cento; e come risposta il dieci per cento: “uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce (…) per ringraziarlo”. E gli altri? Anche Cristo se lo chiede: mica compie miracoli per essere lodato il Nazareno. E’ che oltre alla guarigione aveva preparato loro la salvezza. Invece nulla, scomparsi nel vortice della loro felicità: a pancia piena ognuno è tornato ai vecchi mestieri di un tempo. Chi faceva il ladro ha continuato a fare il ladro. Chi beveva è ritornato nelle taverne. Chi peccava di lussuria è tornato a rintanarsi nelle alcove, muovendosi meglio di prima. Chi mercanteggiava s’è ributtato nei mercati di città. Hanno ricominciato laddove la lebbra li aveva arrestati: e del grazie nemmeno il più sbadato dei pensieri.

E’ tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora andò avanti anch’io. Restiamo senz’altro un po’ impoveriti, ma io mi sento ancora così ricca, che questo vuoto non m’è entrato ancora dentro. Però dobbiamo tenerci in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà; non si può vivere solo con le verità eterne: così rischieremmo di fare la politica degli struzzi. Vivere pienamente, verso l’esterno come verso l’interno, non sacrificare nulla della realtà esterna a beneficio di quella interna e viceversa: considera tutto ciò come un bel compito per te stessa.
(E. Hillesum, Diario)

Sparita la lebbra, ma la pelle è rimasta secca e vecchia: solo quella del samaritano – l’ennesimo foresto che non t’aspetteresti – esce ringiovanita. Che poi è davvero un peccato questa percentuale: uno su dieci. Non che guarisce ma che sa ringraziare, che torna sui suoi passi per stringere una mano, per incrociare uno sguardo, per riaccendere la memoria di una storia che sembrava perduta. Perchè dire grazie, dopo tutto, è dire “senza di te sarei ancora lebbroso, hai fatto la differenza in me, hai stupito la mia infermità”. D’altronde nei Vangeli nessuno è così ricco da non permettersi la forza di un grazie. Magari strappato all’ultimo, magari messo in apice ad una storia maledetta, magari sussurrato negli interstizi di una ferita raccapricciante. Dovunque esso stia, c’è un qualcosa che fa sospettare che anche Cristo lo apprezzi. Non perchè voglia sentirsi importante, ma semplicemente perchè oltre alla guarigione vorrebbe offrirti pure la salvezza. Dieci hanno ricevuto un dono, uno ha risposto. Forse va bene così, perchè la fede rimane la risposta dell’uomo all’eterno corteggiamento di Dio.

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