Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

presepio

M’ha aspettato con le braccia appoggiate tra le inferriate dei cancelli-rossi della sua sezione di galera. Come di chi, appostato, attende l’arrivo della preda per braccarne il passaggio. Lui, di fede musulmana: “Cos’è questa storia del vescovo? Che non sia che quest’anno non facciamo il presepio!” Lui è quello dei primi di dicembre: quando s’apre il mese natalizio,  so già che lui scenderà dalle parti della nostra cappellina di galera. Quattro anni fa, per vincere il suo ozio, gli ho chiesto una mano per fare il mio primo presepio-in-carcere. Non glielo avessi mai chiesto! Ad ogni statua m’interrogava: “Chi è questo con la fisarmonica (lo zampognaro)? E questa con il velo (la Madonna)? Il più simpatico è questo col turbante (uno dei Magi)”. Quando ho tolto l’ultima statua che lui aveva già messo – il Gesù Bambino – stava quasi per alzare le mani: “E’ la più bella quella, lasciala, perchè la togli?” Gli ho spiegato che è Gesù, che come tutti i desiderati arriva per ultimo, che è il motivo per cui si costruisce tutto il presepio. Il suo sorriso sul volto era l’attestato che Cristo, per lui, stava divenendo l’attrattiva, una fascinazione degna di stupore, di curiosità.
D’allora, siamo sempre in quattro a fare il presepio: il sottoscritto, il suo sagrestano (ex latitante), un musulmano e un menefreghista (con un passato da truffatore). Per noi fare il presepio è fare le prove pratiche di ciò che la Chiesa chiama ecumenismo e che, sovente, rimane in lei un’astruseria teologica. Di ciò che, nella periferia scassata e slabbrata, è invece anticipo di nuove possibilità: l’inimmaginabile degli uomini è il possibile di Dio. Eppure il carcere è un’incubatrice del terrorismo: sono pochi i luoghi al mondo nei quali il tempo dell’ozio è tempo opportuno per il lavaggio-dei-cervelli, sotto gli occhi incuranti di troppi. Guardassi le avvisaglie, quest’anno dovrei evitare di fare il presepio per non favorire atti d’intolleranza tra le fedi. Io, invece, proprio quest’anno del presepio non posso farne a meno. S’arrabbierebbe, per primo, il mio amico musulmano: quello che vorrebbe Gesù Bambino nella culla ancor prima che ricorra il suo compleanno. Alla faccia di tanti miei fratelli di fede che, il giorno del Suo compleanno, manco si ricordano ch’è nato il loro Iddio. Macchè tradizione e tradizione: il presepio mica è la transumanza o la festa-del-ringraziamento, tanto meno la festa dell’acciuga o del pomodoro. Feste che si possono benissimo cancellare senza nulla togliere al sapore della propria storia, passata e futura. Il presepio è la rievocazione del Mistero ch’è la madre di tutti i misteri: è rimettere mano – nel vero senso della parola – alla costruzione della storia di un Dio che, pur essendo Figlio di Papà, non si vergognò di calarsi dentro la terra più intricata: quella di Palestina, miscuglio di sangui e di fedi, incrocio di storie, crocevia di illusioni. Fare-il-presepio, a casa mia, è stata la mia prima lezione di catechismo, l’unica che non aveva il sapore noioso della lezione ma teneva il gusto saporito di una storia, che sapeva già gusto nel mentre la mettevi in scena. Come a Greccio, la prima volta di Francesco: uno che di diversità riconciliate tenne lezione al mondo intero.
Non facessi il presepio, magari proprio nel Natale che segna la primavera del Giubileo della Misericordia, sarebbe come oscurare il volto alla Misericordia: il nome di Dio è misericordia. Quel nome, dopo il Natale di Betlemme, ha anche un volto, è un Bambino che nasce: alla faccia di tutto, nonostante tutto, proprio grazie a tutto ciò che accade tra gli uomini. Il presepio è una contrada di statue che evocano il racconto di una storia la cui bellezza non è mai più stata superata. Senza presepio, il più triste sarebbe proprio Faarooq, il mio amico musulmano, quello che ai primi di dicembre esce, come una talpa, dalla sua cella-tana per aiutarmi a realizzarlo. Più che una provocazione, per lui sarebbe una mancanza che mi farebbe pagare togliendomi il saluto. Anche perchè, facendo il presepio gomito a gomito con gli altri due, ha pure imparato a canticchiare Tu scendi dalle stelle. Il mio Natale, senza presepio, sarebbe anche senza di lui. Un affronto al mio Gesù. Il medesimo che, pur sapendo di provocare, scelse di non scegliere altro che rimanere provocazione. Per poi lasciarsi adorare, per primi, da tre uomini col turbante sul capo.
Le statuine preferite di Faarooq.

(da Il Mattino di Padova, 3 dicembre 2015)

 

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Segnalo qui sotto una bella riflessione-proposta del mio carissimo amico Graziano Debellini, apparsa su Il Mattino di Padova in edicola oggi. Se il cristianesimo è la storia di un incontro, allora dietro ogni incontro c’è una proposta d’incontro: c’è un Dio che spia in agguato. Che accende la fantasia della carità, come alla cena di santa Lucia.

CenaSantaLucia


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