Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Si racconta che, di fronte agli scherni dei compagni di studio che, rivolgendosi a san Tommaso d’Aquino lo apostrofavano, dandogli del “bue muto” per la sua timidezza (e per la sua stazza, non essendo proprio in perfetto peso forma!), Alberto Magno ‘profetizzò’ «Ah! Voi lo chiamate il bue muto! Io vi dico, quando questo bue muggirà, i suoi muggiti si udranno da un’estremità all’altra della terra!».
Non succede solo nel Medioevo. Capita così anche ai giorni nostri, in tutti gli ambienti e ambiti del nostro mondo. Talvolta, riteniamo di avere il diritto di escludere qualcuno, solo perché ha qualcosa che non corrisponde ai canoni, perché non viene dalla nostra cerchia di amicizie, perché viene dalla campagna, perché non è istruito.
Sembra una favola, invece è realtà. Stenta a crederci persino lui, quando, con gli occhi scintillanti, in una Parigi tirata a lucido per l’evento, si divide tra uno sguardo posato sui propri genitori ed uno sulla moglie ed i figli, venuti al gran completo, per un’occasione tanto importante per la sua vita. Ho ancora negli occhi quell’immagine di calciatore in lacrime al rendersi conto che avrebbe giocato una finale mondiale: quel sogno tanto gigante da sembrare proibitivo, nato nelle campagne di Zadar, cresciuto, tirando calci ad un pallone, nel parcheggio di un hotel sotto le bombe di una guerra sanguinosa, nutrito di sacrificio, dopo tanti anni, non solo è diventato realtà, ma supera la realtà. Senza un simile passato, forse, sarebbe impossibile capire una simile commozione in un giocatore come Luka Modrić.  Perché nei suoi occhi c’è la volontà di una nazione intera di risollevarsi, nella speranza di dare ai propri figli un futuro migliore, lontano dalle bombe e dall’odio, che ferisce più delle armi.
Ancora adesso, chi lo prende in giro, lo chiama “capra”, volendo richiamare un passato d’infanzia a pascolare capre nelle campagne di Zadar. Quelle stesse campagne che il nonno Luka riteneva sicure (che interesse può esserci in una piana d’arbusti, com’era la campagna di Zaton Obrovački, dove pascolava il gregge?), trovandosi, invece, faccia a faccia con la morte, per mano di guerriglieri serbi. Questo episodio segnò la sua infanzia, perché Modrici (piccolo borgo dell’entroterra dalmata, che contava un centinaio d’abitanti) non era più posto sicuro, per i croati, e rese necessario scappare, come profughi, con tutta la famiglia.
Eppure, gli haters non vanno lontani dal vero: perché, della capra, Luka ha senz’altro la caparbia testardaggine, dal momento che – egli stesso lo evidenzia – ha sempre creduto nel proprio talento, quando gli altri non erano disposti a farlo.
Forse non è un caso, che in Avvento, ritroviamo un ex-pastore in cima all’Olimpo del pallone. Anche questo fatto ci ricorda lo ‘scherzetto’ di Natale che ci fece Dio, quando i pastori, che erano i reietti della comunità, furono i primi a ricevere l’annuncio degli angeli, che li invitava all’evento straordinario della nascita del Messia.
Il centrocampista zaratino fu a lungo considerato troppo gracile per giocare a calcio in modo professionistico e, a lungo, si ritrovò a dover mostrare il suo talento in campionati dove a farla da padrone era la fisicità e nei quali, quindi, si trovava svantaggiato. Ne ha fatta, di strada, la “capra” dalmata e non si può dire, che, come per l’aquinate mira del bullismo medievale, ora i suoi belati non si sentano forti e chiari, in tutto il mondo: con indomito entusiasmo, è riuscito a farsi valere nel ruvido campionato bosniaco, è approdato all’Inter Zapresic ed alla Dinamo Zagabria (Croazia), trampolino di lancio per la prima esperienza di calcio europeo, al Tottenham; da lì, si arriva alla storia più recente, con l’approdo al “galattico” Real Madrid, con cui ha vinto tutto in Europa, ed il sogno ad occhi aperti che ha coinvolto una nazione intera, in questa folle estate, che ha visto la nazionale della piccola Croazia arpionare uno storico secondo posto, nell’ultima Coppa del Mondo di calcio.

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Ci hanno provato in tutti i modi, a farlo andare sopra le righe. Ma non ce l’hanno fatta neanche stavolta. Gli hanno parlato di vendetta; loro, i giornalisti occidentali che non sanno cosa sia la guerra. Avrebbe potuto rispondere, scherzando, che la “vendetta” sui Blues, l’avevano già presa i ‘colleghi’ del tennis, vincitori, ironia della sorte, proprio sulla Francia, dell’ultima coppa Davis. Ma non ha dato loro neppure questa soddisfazione. Dalle sue labbra di ex-profugo sono uscite solo parole di pace e complimenti, soprattutto per i due giovani francesi (Mbappé e Griezmann), che si sono contesi il premio con lui, sottolineando, come un augurio, che il futuro è dalla loro parte. Una lezione che ci ricorda che, soprattutto, il calcio è un gioco e viverlo nella rivalità e nell’agonismo esasperato riesce solo nella impresa di rovinarci l’occasione di divertimento, che invece potrebbe rappresentare, soprattutto per chi lo guarda come spettatore e tifoso.
Come non bastasse, il croato raddoppia, rincarando la dose. Ammette candidamente che, se solo si potesse, cambierebbe subito non solo quest’ultimo, ma tutti i premi personali, per un trionfo mondiale con la propria nazionale (che pure ha – in un certo senso – accarezzato, arrivando a disputare la finale), perché, come ha sempre sostenuto, per lui, i premi collettivi sono più importanti di quelli individuali.
Allora, tutto si fa più chiaro. Per chi si ostina a conteggiare sull’abaco gol e assist (dimenticando, però che lo zaratino ha giocato di frequente non solo da regista o centrocampista avanzato, ma, spesso, appena davanti alla difesa, posizione che non rappresenta esattamente la migliore per diventare capocannoniere) pur di sostenere che questo non è un premio meritato, queste affermazioni, rappresentano l’esplicazione concreta del perché è bello che proprio un giocatore con le sue caratteristiche specifiche abbia vinto. Il suo modo di giocare è risposta ad ogni critica. No, non è mai stato miglior marcatore in nessuna manifestazione e probabilmente non lo sarà mai. Eppure, ha la stima di chiunque abbia giocato con lui, compagni ed allenatori, per la professionalità e la disponibilità a fare quello che è più necessario alla squadra, con una duttilità fuori dal comune.
Questo trionfo “strano”, che sconcerta più di qualcuno, è un insegnamento prezioso. Lontano dai riflettori, senza necessità di prime pagine, c’è chi fa girare gli ingranaggi che servono a muovere tutta la macchina-squadra. È il lavoro “di costruzione”, che precede una rete, che a pochi interessa, di cui pochi si avvedono, ma, senza il quale, spesso, la marcatura non può arrivare. Perché il croato eccelle in una dote particolare: possiede una visione di gioco assolutamente rara, per cui qualcuno disse di lui che “è in grado di vedere, al tempo del gioco, spazi ed idee che noi non vedremmo neanche al ralenti”.
È raro che qualcuno si accorga di questo lavoro, che rischia di parere secondario e poco importante. Ma è bello che – qualche volta – accada. Nel calcio, come nella vita!

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Fonti:
Panorama
Zonacesarini.net
Novenosti
_ luka modric_ (account instagram)
Video Youtube: Luka Modrić (5 anni) pascola le capre

Fonte immagini:
1 e 3 – _ luka modric_
2 – Marca

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