La battuta su Ignazio Marino è stata solo l’ultima delle avvisaglie sferrate: l’uomo, che corrisponde al nome di Francesco, s’infastidisce assai ad essere tirato per le vesti o nel vedere fraintese le sue affermazioni. Come alla fine dello scorso maggio quando, in vista del Sinodo che inizierà stasera, aveva fatto le debite precisazioni: «A me non è piaciuto che tante persone, anche di Chiesa, preti, abbiano detto: “Ah, il Sinodo per dare la comunione ai divorziati…”, e sono andati proprio a quel punto. Io ho sentito come se tutto si riducesse ad una casistica. No, la cosa è più e più ampia». Può piacere o meno il magistero di Francesco, ma qui è in gioco molto di più che una simpatica o antipatia a pelle: ad essere in gioco è la salvezza delle anime e quella, piaccia o non piaccia, non è mai un fattore che dipende dalla casistica: “si potrà, non si potrà?”.
Da stasera inizierà il Sinodo, anche un doppio sinodo: il sinodo dei 270 padri sinodali e il sinodo dei media universali. Nulla di nuovo sotto il cielo della capitale della cristianità: anche nell’ultimo Concilio, il Vaticano II, era capitata la stessa cosa. Capita perché, sulle cose di Chiesa e sui misteri che popolano il destino ultimo dell’anima, la curiosità è sempre desta, com’è affascinante che sia. A fare la differenza sarà, ancora una volta, la fede dell’uomo credente: quello che nella dottrina non vede tanto una ragione per escludere alcuni dalla salvezza bensì una bussola che aiuti a guidare la barca della Chiesa dentro i tumulti di un mare agitato. Se Cristo ha mandato i suoi a navigare in un mare tempestoso, l’arte d’affinare non sarà quella di rientrare nel porto ma di non sottrarsi a quella sanguinante fatica di riportare a casa la pesca della fedeltà. La storia è popolata di uomini e di donne che sognavano di fare tutt’altro nella vita: quando si sono trovati dentro una missione che non avevano calcolato, la loro grandezza è stata quella di non sottrarsi, ma di tenere alta la battaglia. Ecco il prezzo da pagare in queste tre settimane di contemplazione, di orazione e di azione: tenere ben distinti i due sinodi, quello raccontato da fuori e quello sofferto da dentro. L’unico, quest’ultimo, capace di dire la verità su se stesso.
Un Sinodo sulla famiglia, perché se anche Dio scelse di nascere dentro le logiche di una famiglia, allora il sospetto che essa sia la fontana dalla quale sgorga la possibilità della santità è altissimo. Alla freschezza teologica di Francesco, temo non sia foresta l’immagine del confratello gesuita Karl Rahner: quella della brace che si nasconde sotto la cenere. Anche dove la cenere sembra a dosi massicce, c’è sempre una brace che può ravvivare un fuoco. Questa “brace” è la chiesa che ha in mente Francesco: una Chiesa capace di testimoniare la Verità mostrandosi pronta a chinarsi con amore sulle sofferenze dei suoi figli. A cambiare non sarà certo il Catechismo della Chiesa Cattolica ma, forse, la consapevolezza di ciò che oggi il mondo sta chiedendo, in ginocchio, alla sua Chiesa: non di farsi trovare sempre con la risposta giusta a tutte le domande, anche ingiuste, che le vengono poste. L’umanità sofferente alla sua Chiesa chiede dell’altro: chiede la presenza di uomini e di donne capaci di attraversare con coraggio i sentieri dell’incertezza e del patimento, senza nascondersi dietro i cimeli da museo di una “certezza dottrinale” che, sovente, ha mostrato di essere il vestito esteriore di un panico interiore.
I poveri lo sanno bene: solo chi ha abitato a lungo nel fango potrà dire di conoscerli per davvero. E, un giorno, riuscirà a strapparli dal fango. La Chiesa di Francesco è una chiesa con gli stivali nel fango: mettersi le pantofole è tradire il sogno di Dio, quello iniziale: che in nessuna casa manchi la festa del cuore. Al Papa il suo, a tutti il resto: che cosa puoi fare tu per la Chiesa?
(da Il Mattino di Padova, 4 ottobre 2015)