Cresciuta tra l’austerità dell’Ortigara e lo sciacquio dell’Astico, è l’emblema della fede semplice fatta di giaculatorie, rosari e novene. Digiuni, messe feriali e pratiche di pietà intercalate da un misterioso latino dal sapore più maccheronico che ciceroniano. Donna di fede la nonna. Affezionata a quel Papa polacco – con il quale spartiva l’età – non cessò mai di tradurmi in gesti di umile ferialità la vertigine della sua anima. Fosse viva si sarebbe infuriata in questi giorni: con la legna tra le mani o la biancheria da lavare avrebbe difeso coi denti il suo Papa. Non sarà quello polacco, ma è pur sempre il Papa. E questo le sarebbe bastato. Perché era donna precisa: al prete, al sindaco e al farmacista andavano riservati gli ossequi tra le viuzze del paese. Le devo tutto a quella vecchia contadina: la fede, la vocazione, la dolcezza della mia vita. Serenità e spensieratezza, oltrechè il gaudio di un cristianesimo acceso di passione.
Anche se in questi giorni mi piacerebbe spiegarle con riguardo che quel suo cristianesimo – invidiabile nella santità e nella coerenza – sta scemando. Storia bella, arricchente, profonda. A casa mia per anni abbiamo attinto a quella fede. Peccato che sui banchi delle teologie il cristianesimo della mia nonna sia deriso, umiliato, guardato con diffidenza. Studiato con la passione dell’antiquario: ma è stato pur sempre un capitolo (e che capitolo) di storia sacra. Di fede incarnata nella storia! Non le potevo chiedere: “Perché sei cristiana, nonna?”. Era una domanda stupida per lei: era cristiana e basta. Non conosceva l’ermeneutica biblica nè la teologia dogmatica. La transustanziazione era “arabismo” ma credeva nella consacrazione eucaristica: non li sapeva sinonimi! La nonna ritrae quel cristianesimo dell’abitudine, della consuetudine che oggi vediamo zoppicare. Perchè oggi sta germogliando il cristianesimo dell’innamoramento: stupore, scelta di campo, coerenza e sudore, caparbietà e sofferenza. Il cristianesimo della gioia. La lezione degli attacchi continui inferti alla Chiesa c’avverte ch’è finito il tempo degli scherzi, del sentimentalismo, di una vaga spiritualità pagana, del “sono cristiano ma in chiesa non vado”. Dei bans, degli slogan e di una certa forma di pastorale paganeggiante. Oggi il cristiano deve esporsi, battagliare, abitare l’arena moderna e accettare le sfide del popolo indifferente. Non farsi né intimidire né imbambolare! Rompere nella società fino a diventare dei cristiani creativi.
Kurt Kobain, la rockstar dei Nirvana, era un genio. Con la musica interpretava il popolo, lo lanciava fino ad accenderlo, suscitava la speranza. Un genio! Sono arrivati soldi a palate, era corteggiato dalle donne che cadevano tutte ai suoi piedi come delle oche, case in abbondanza. Tanta fama e gloria. Kurt si dimenticò di essere uomo: si staccò dalle sue radici, non riusciva più ad essere creativo. Nell’ultima lettera scritta alla moglie Courtney Love, si sfogò: “Siamo diventati ripetitivi; non ce la faccio più”. Abbandonando le sue origini era diventato arido, aveva smarrito il genio. Nella stessa lettera diceva a Francio Bean, la sua piccola di due anni e nove mesi: “Non ricordare tuo papà solo per questo gesto”. E prima della firma scrisse: “Eppure lassù qualcuno ci ama”.
Dio non è un personaggio comodo, chiede scelte difficili. D’altronde, ha traghettato trent’anni di silente nascondimento nell’anonimato prezioso di Nazareth, ha scolpito nell’anima la melodia di una profezia da realizzare, ha intuito che le acque del Giordano sono per lui l’inizio di un’avventura pubblica di cui tanto s’era bisbigliato. Ci meraviglia quel suo inseguire l’uomo sin nelle acque torbide del Giordano, quel correre in anticipo tra chi merita meno, quel suo darsi in pasto alle bocche meno gradevoli. Ancor oggi ci meraviglia l’amore.
Peccato i cristiani non facciano più paura a nessuno. Buona notte!

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