Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

CensuraUn cuore appassionato dentro una città intorpidita. Adesso ognuno cercherà di tirare l’acqua verso il suo mulino, ma il messaggio proclamato dal Presidente della CEI parla chiaro: la Chiesa non teme nessuna intimidazione, ma vuole rimanere libera. Di quella libertà tutta evangelica che dovrebbe fare di un popolo innamorato di Cristo un popolo di gente pericolosa e sovversiva dentro le strade della storia. Non basta la proclamazione di un messaggio a scuotere il torpore di una mentalità, ma certamente suona bello sulla soglia di un nuovo anno pastorale che le nostre parrocchie stanno iniziando. Si inizia come s’era concluso: con la consapevolezza che oggi i campanili stanno diventando muti. O lo sono già diventati: un certo stile di cristianesimo ha fatto la sua storia, ha raccolto i suoi frutti, ha avvicinato cuori di generazioni intere a Cristo. Ma oggi fatica a risvegliare il gusto del Cielo nelle menti dell’uomo, a far nascere dentro l’anima quella curiosità che spingeva il popolo della Scrittura a correre e affannarsi per sentire la Parola, a far sbocciare il sapore della gioia nella partecipazione alla vita di fede. Se un certo tipo di cristianesimo sta tramontando, un altro sta timidamente mostrando le prime gemme: è il cristianesimo dell’innamoramento, dello stupore, della freschezza ritrovata. Della gioia convinta e convincente d’essere un popolo lanciato verso il tempo dell’Eternità. Un popolo sottomesso solamente al suo Dio: l’unica forma di schiavitù che permette d’assaporare la vera libertà senza ricatto alcuno.
Un popolo nomade che necessita della libertà per poter rimanere fedele alla sua vocazione: quella d’essere gente diversa per conto di un Dio creativo. La parrocchia potrebbe allora divenire un laboratorio di idee pericoloso per la società, una bottega d’artigianato creativo, una scuola dove si formano e si educano degli artisti del messaggio cristiano. Gente che ritrova il sapore di immagini fresche, anime dalla testimonianza coerente, appassionati cercatori di un Vangelo ancor oggi all’opera tra le contrade dell’umanità. E’ il sogno d’essere artisti pericolosi quello che dovrebbe accendere i seguaci del Nazareno: gente che non si fa abbindolare dalle promesse dei mercanti, che non sogna le caramelle della politica, che alle promesse dell’uomo preferisce le assurdità certe che calano dritte dal Vangelo. Lì dentro c’è una potenza che fa tremare le vene: che impaurisce la politica, che risistemerebbe l’economia, che riordina il cuore e la mente, che rimette in piedi esistenze sbagliate, che propone condoni e scudi fiscali necessari per entrare nel Regno dei Cieli. E’ questa libertà che mostra al viandante di Dio la pericolosità delle alleanze che, pur d’apparire vincenti e ossequiose, offrono la possibilità di parlare: avendo prima ben posizionato i microfoni in modo che la voce si senta il meno possibile. Ma è rimasto l’inganno dell’offerta fatta con luciferina intelligenza.
Di quei microfoni gli artisti di un cristianesimo dell’innamoramento non sanno che farsene: è l’esistenza il microfono migliore. E chiedono di poter essere artisti non per il puro gusto d’apparire, ma perchè i potenti di ogni epoca storica hanno avuto paura degli artisti: per la loro imprevedibilità, curiosità, creatività, lungimiranza, ispirazione, follia, statura, provocazione, ingegno. Chi assicura panem et circenses vuole che il domani sia uguale identico all’oggi: per controllarlo e non farsi trovare impreparati. Gli artisti di Cristo, al contrario, dipingono l’immagine di un futuro migliore, inedito, avvincente e per questo li vogliono far tacere con le caramelle, zittire con i microfoni, schiavizzare con gli applausi. Ma l’artista lavora nell’oscurità della bottega: quando l’opera sarà firmata, sarà lo sguardo della gente ad accorgersi il prezzo e il valore di una diversità che dal cuore dell’artista è riuscita a far breccia nello sguardo di chi in lei s’imbatte. I cristiani: questi artisti imprevedibili lanciati nelle strade per risvegliare da un torpore costruito ad arte. Con un’anestesia omicida.

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