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“Le ultime parole famose”. Ciò che è ultimo rappresenta sempre, in qualche modo, un motivo di fascino; ultimo, che può voler dire anche solo in senso relativo, cioè, “quanto noto finora, quanto finora scoperto al riguardo”. Più ancora, però, ciò è vero, in particolare, rispetto ad una sorta di macabra curiosità rispetto a ciò che è l’umana fine terrena, l’ultimo ostacolo che l’uomo incontra nella sua vita, cioè la morte.

In realtà, ci rendiamo  conto che è difficile valutare cosa sia “ultimo”. Diventiamo consapevoli di cosa sia ultimo solo dopo. Come in un film, comprendiamo di aver visto l’ultima scena solo dopo che sono trascorsi i titoli di coda. Abbiamo la certezza di aver appena concluso l’ultima azione, solo dopo che l’arbitro ha fischiato tre volte nel proprio fischietto.

C’è una scena letteraria, che qualcuno potrebbe – eventualmente – conoscere tramite trasposizioni cinematografiche. La morte di Jean Valjean, nel capolavoro “Les Misérables” di Victor Hugo. Jean Valjean è un farabutto, un ex forzato, che, accompagnato dal suo passaporto giallo, fatica a cambiare vita. La prima luce che si accende nella sua vita viene dai candelieri del vescovo Myriel: quelli che Valjean avrebbe voluto rubare, ma che gli sono infine stati regalati dall’ecclesiastico, cosicché l’ennesimo frutto della malavita si è trasformato nel dono gratuito ad immagine del Cristo che s’offre per l’umanità. Gli stessi candelieri che, all’arrivo di Cosette e Marius, chiede di accendere, perché la loro luce lo illumini ancora una volta. Un’ultima volta. Fino a quel momento, non era chiaro che sarebbe stata l’ultima. Forse, Marius poteva averne avuto sentore, essendo rimasto in contatto. Cosette no: ignara di tutto (alla confessione di Valjean che Cosette era stata riscatta dietro pagamento dall’ex forzato, quando era ancora una bambina, il marito, sospettoso, preferì allontanarlo dalla moglie), era sorpresa di sapere tanto gravi le condizioni di quello che per lei altro non era stato che un padre amorevole. Inizialmente, era rimasta frastornata dalla furia con cui il marito l’aveva indotta a salire in carrozza, nel cuore della notte. In quel momento, però, bastava ascoltare quanto fossero divenuti flebili la voce e lo sguardo dell’anziano, per comprendere che questi erano davvero, ormai, gli ultimi istanti. Quella vita, di cui ben pochi avevano avuto visione diretta, era ormai giunta alla conclusione. Cosa rimaneva, a questo punto? L’amore, nelle lacrime di Cosette, che finalmente aveva potuto vivere un’infanzia serena, nonostante i molti segreti del padre.

Gesù Cristo si mostra Maestro anche in questo. Quando il momento supremo di lasciare quel mondo che aveva visitato per la nostra salvezza, ridusse ogni cosa all’essenziale, parole comprese. Gli esegeti contano sette parole. Meno di quante ci aspetteremmo. Abbastanza da rinfrescare la memoria di Pietro, dare vita alla Chiesa e concludere la sua permanenza terrena, affacciandosi  su quell’Eternità che non aveva mai abbandonato.

Ognuno di noi è capace di santità. È precisamente il motivo per cui è al mondo.
Anche noi non sappiamo e non sapremo quando sarà l’ultimo giorno, l’ultima ora, l’ultimo minuto. E, generalmente, anche qualora lo sapessimo, sarebbe troppo tardi per poter “recuperare”. Non è in quel frangente che è possibile affrontare rimpianti; al massimo, ci può essere qualche spazio per i ricordi, non di più.
Non importa quanto sia sano, forte, bello, intelligente. In ogni caso, ciascuno avrà, anche solo parzialmente, delle qualità che potranno essere al servizio di tutti. E non importa neppure se “tutta la vita” vorrà dire oltre 118 anni, come suor Andrè, oppure soltanto poche ore. Al cospetto dell’eternità, anche 100 anni sono “come una goccia che cade da un secchio” (Sal 104). Non importa, quindi, la quantità, bensì la pienezza: come la vedova che getta pochi spiccioli nel tesoro (Mc 12, 38-44) risplende, agli occhi di Cristo per la radicalità della sua fede, così è la pienezza con cui viviamo ogni nostra giornata, deponendole ai piedi di Dio, con fiducia, che le rende santificate, in quelle piccole cose che riempiono il nostro quotidiano, spazio e tempo in cui siamo chiamati a vivere il nostro oggi, giorno dopo giorno. 


 Fonte immagine: voce apuana

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