sonnoI bambini fanno rumore. Come le cornacchie gracchiano, le mucche muggiscono, le anatre starnazzano, i colombi tubano e i cavalli nitriscono. I bambini fanno rumore da che mondo è mondo: è il prezzo da pagare per sentirsi vivi rincorrendosi e giocando, socializzando e starnutendo, gareggiando e pregando all’aperto. Pure il Leopardi – che della solitudine silenziosa era accorto intenditore – narrando la sera di un sabato nel villaggio dipingeva “I fanciulli gridando/su la piazzola in frotta,/e qua e là saltando,/fanno un lieto romore”. Chi entrava a Padova fino a ieri trovava la scritta “territorio urbano telesorvegliato”. In qualche quartiere fra poco appariranno i cartelli con la scritta “io qui non posso entrare” e appena sotto un bambino stilizzato. In tutta la penisola quel cartello riguarda i cani, a Padova si corre il rischio che sia riferito ai bambini che abitano i patronati. Stiano attenti gli arrotini a viaggiare gracchiando con i microfoni per segnalare l’arrivo. Come pure gli agenti della Polizia si guardino bene dall’essere molesti nell’accendere le sirene o nel suonare i campanelli in orari inopportuni: non sia mai che si procurino pure loro qualche denuncia con l’accusa d’essere molesti e cagione di mala salute.
Una città dove il rumore dei bambini diventa un pericolo per la quiete e la salute pubblica è una città che dice di credere al suo futuro solo per negare con eleganza la possibilità di essere protagonisti del presente. Come si può togliere a dei ragazzi il diritto del gioco, quegli schiamazzi colorati che fanno parte del loro alfabeto, quella rauchedine adolescenziale che racconta una gioia di vivere che fra qualche anno tornerà ad essere composta? Per coerenza facciamo chiudere tutti quei luoghi abitati dagli adulti dove si spargono chiacchiere, si diffondono dicerie, s’inanellano pettegolezzi che sono “canzoni da parrucchiere”. Perché se il gioco di un bambino procura danni alla salute delle donne, il pettegolezzo di una donna procura prurito alle orecchie di un bambino. Non succederà questo, perché i ragazzi giocando dimostrano di provare divertimento e gaudio e se ne infischiano pure delle dicerie della gente: a loro basta un pallone per sentirsi vivi e partecipi della loro sfida di diventare grandi. Ecco perché denunciare una parrocchia com’è successo in un quartiere di Padova è denunciare la speranza: querelino pure le chiese e i patronati ma poi s’addossino la responsabilità di aver indotto alla vita di strada coloro che hanno smarrito un punto d’aggregazione che ha contribuito a costruire intere generazioni di figli e di nipoti. Perché è più quello che una parrocchia ci perde ad investire nei giovani di quello che ci guadagna all’istante e non si capisce quale sia il gusto che si possa provare nel vedere sul lastrico un ambiente che ancor oggi si sforza di educare alla vita buona e bella dell’uomo.
C’è da giurarci che a fregarsi le mani sarà ancora una volta Barbara d’Urso e il suo programma “Pomeriggio Cinque”: manderà qualche troupe perché il bocconcino di gossip è ghiotto per non darlo in pasto a quell’Italia che si plasma alla sua scuola. Quell’Italia dove gossip e frivolezze diventano la colonna sonora di chi s’appella a tutto pur di diventare protagonista di quella mezz’ora di gloria che spetta a tutti. Così, dopo aver cacciato i ragazzi dalle piazze con l’accusa di pisciare sulle porte all’ora dello spritz, ora tocca ai bambini essere cacciati dalla parrocchia con l’accusa di essere troppo festosi. Fuori dalle mura i primi, fuori dalle scatole i secondi che, alleandosi tra loro, intoneranno a squarciagola dalla periferia: “Buonanotte, Padova”.
E spegneranno pure le luci.

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