Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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Sono passati diversi giorni, ormai, da quando il piccolo Charlie conquistava, nel suo creativo silenzio, le prime pagine dei giornali. Con l’interesse del mondo intero, dei piccoli e dei grandi delle nazioni. Fino a morire, in un silenzio assordante e voluto, nel tentativo di creare indifferenza e solitudine, intorno a questo piccolo guerriero senz’armi né scudo con cui difendersi dagli sguardi di troppi curiosi e troppo pochi interessati al suo vero ”miglior interesse”. Che, forse – chissà! -, era, semplicemente potersi sentire amato da mamma e papà, per com’era, anche solo per quel fremito d’ali per cui quel suo debole corpo avrebbe potuto resistere ancora.
Oggi, 4 agosto, non è un giorno qualsiasi. Oggi avresti compiuto un anno. Forse, avresti potuto compierlo. Chi è padrone del futuro, così da poter predire che sarebbe potuto succedere?
Forse il livore dell’ideologia è andato scemando e riusciamo a focalizzare che “eri solo un bambino”. Che non è un complemento di privazione, ma, al contrario, racchiude il di più di cui talvolta ci scordiamo.
Eri solo un bambino.  Non soltanto un caso. Non soltanto un titolo di giornale. Non un vessillo da innalzare in nome dei diritti. Non un articolo da prima pagina, a fronte dell’interesse globale per la vicenda; né un trafiletto per l’articolo di spalla, quando ormai l’argomento non è più sulla cresta dell’onda.
Eri solo un bambino. Ma anche un figlio, un nipote, un cugino, una creatura amata. Perfetta, così. Eri solo un bambino, più fragile di tanti altri. Ma, con la tua fragile esistenza, hai saputo urlare, nel tuo muto silenzio, al mondo intero, la più grande Verità. Sei stato portavoce di chi non ha voce, giusto tra gli ingiusti, paradigma di un processo iniquo, portato avanti dai grandi esperti, a cui pensiamo di poter affidare l’intera nostra esistenza. Non sempre, la giustizia è amministrata dai tribunali.
Non me ne sorprendo. Fu così anche 2000 anni fa. Non poteva vivere. La sua semplice presenza era scandalo, per i benpensanti. Comprometteva gli interessi geopolitici e l’equilibrio nazionale. Ora, i dottori della legge hanno affinato le loro tecniche e sono riusciti a sostenere addirittura che “il maggior bene, per il paziente, era la morte”.
L’Amore, immerso nella Verità, è sempre stato scomodo. Per questo, rivelatosi pietra d’intralcio, si è sempre cercato di toglierlo di mezzo. Per non creare imbarazzo. Per non scompigliare le certezze dorate di una vita normale
Eppure, ora che non abiti più tra noi, so per certo che ad aver perso non sei tu. È questo mondo, vecchio e stantio, che sa di marcio e di già visto, all’ombra di un progresso che vuol dirsi nuovo, ma in realtà propaganda la morte, con fredda compostezza.
Se davvero è possibile che nel 2017, nella ”parte giusta del mondo” (quella che brilla per progresso e scoperte scientifiche, efficienza e velocità di spostamenti e comunicazioni), è possibile morire per mancanza di speranza, abbiamo perso tutti. E quando dico tutti, intendo davvero tutti quanti. Ogni singola persona.
Ciascuno di noi dovrebbe sentirsi un po’ più povero, proprio quando le vite più fragili sono colpevolmente spente. Per non aver alimentato la speranza, per non aver oltrepassato il muro del cinismo e dell’ignavia, della burocrazia e dei cavilli legislativi.
Charlie è morto per mancanza d’ossigeno, non perché ucciso da una malattia. Perché, al contrario di quanto ha scritto qualche titolo sensazionalistico, non era in fin di vita. Dopo i peggioramenti di mesi fa, la sua situazione era – nei giorni scorsi – assolutamente stabile. Fragile, debole, ma stabile. E certo non contribuiva alla sua ripresa fisica proprio quella morfina iniettatagli precauzionalmente, nel buio dell’incertezza a riguardo del dolore sperimentato dal piccolo.
Similmente, successe per Terry Schiavo. O per Eluana Englaro. Morte d’inedia e disidratazione.
Il problema sta a monte: nell’illusione che possiamo disporre della vita, come della morte. Mentre non è così. Perché, se da un lato, abbiamo la capacità tecnica di dare la morte in modo più o meno cruento a nostra discrezione, non possiamo riportare in vita.
Ecco perché la vita è un bene indisponibile, che ci è affidato, ma su cui non abbiamo potere. Nulla potrà valere più della Vita. Perché, come titolava Bruno Ferrero “la vita è tutto quello che abbiamo”. Ed è davvero così, condensato in una sintetica frase. Breve o lunga, ricca o povera, fragile o forte, senza problemi o incasinata. Ma, senza la vita, tutto ci è tolto. Senza la vita, non possiamo esprimere né diritti né libertà.
Soprattutto per chi non crede, questa vita è tutto quel che c’è.

Per chi tenta ogni giorno di essere credente, invece, c’è una parola degna di fede a cui affidarsi:

Se moriamo con lui, con lui anche vivremo;
se perseveriamo, con lui anche regneremo;
se lo rinneghiamo, lui pure ci rinnegherà;
se siamo infedeli, lui rimane fedele,
perché non può rinnegare se stesso.
(2Tim 2, 11-13)

Non temo nulla per Charlie. Quelli come lui, Dio se li porta in braccio, dalla nascita, fino alla Sua gloria. il problema è per chi ancora (pare) rimasto vivo, ma, forse, è morto dentro. e, forse, ora, siamo morti dentro un po’ tutti quanti.
Perché, prima ancora che una sconfitta della pietà, questo epilogo segna la sconfitta della fantasia.
Perché significa non essere in grado di immaginare una vita che non abbia tutto ciò che noi consideriamo normale come possibili. Non essere capaci di lasciarci provocare dalla creatività di una vita-altra che, pur soffrendo una mancanza, non per questo diventa non-essere, ma rimane sempre espressione di un essere – diversamente dalla norma banale a cui abbiamo narcotizzato i nostri sensi ormai avvizziti dalla troppa indolenza.
Alla fine (apparente) di questa vicenda, ci sentiamo tutti non solo un po’ più soli, ma anche un po’ più fragili. Già condannati. Perché potremo esserlo, prima o poi.

Imputati per indegnità di vita, accusati di non valere la pena, di non essere abbastanza vivi per vivere. Allora, chi deciderà quanti punti avremo, sulla patente per la vita? Chi deciderà quale sarà la soglia della sufficienza? Quale sarà la pena per chi sarà carente?
La prospettiva è agghiacciante. Se in discussione è la vita, è messa in discussione ogni vita umana, con il suo semplice, fondamentale, inalienabile, diritto all’esistenza.

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