Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

30kmUna di quelle giornate che sogni dal primo momento che l’atletica s’è impossessata del tuo animo: solo l’umidità un po’ alta (75%) delineava qualche linea di preoccupazione alla partenza. Tutto il resto sfiorava la perfezione: la testa pronta, le gambe forti, la squadra migliore – una di quelle squadre che ti sembra esistano solo nelle migliori favole sportive -. Non si poteva non onorare una gara come questa.
Oggi per me era un test particolare: a tre settimane da New York, dopo la leggera batosta di San Benedetto del Tronto volevo vedere se 700 km di allenamento avevano sedimentato un po’ il ritmo maratona nelle mie gambe. “Minacciato” da un sms di avvertimento ieri sera da parte di Lucilla Andreucci, ho cercato di rispettare le consegne: primi dieci km a 4’05/km, secondi dieci km a 4’/km e gli ultimi dieci in progressione verso i 3’50/km.

Doveva uscire una gara leggermente sotto le due ore di corsa. Stranamente ho rispettato, facendo a pugni con la mia matta voglia di agonismo che mi prende ogni qualvolta odo lo sparo della pistola. Un percorso movimentato nella prima parte (dentro gli scavi di Ostia antica), eternamente in rettilineo nella seconda (costeggiando il lungomare di Ostia) e dentro la pineta nella terza parte con il finale nello “Stadio delle Aquile” di Ostia. Passaggi chilometrici fatti quasi al metronomo, rifornimenti eseguiti con calma e l’emozione degli ultimi dieci km in progressione, gran parte su quello sterrato che mi ricorda i miei sentieri di montagna: perchè ci sono attimi che senti forte dentro l’orgoglio d’esserti massacrato per settimane intere e raccogliere quelle piccole sensazioni che il corpo ti fa ritornare. E quel timer lampeggiante sotto il traguardo che segnava 1h 56′ 37″ (guarda la gara) e che oggi valeva il 12° posto assoluto nella classifica generale (guarda la classifica). Se mi convincerò a rispettare bene i tempi e le varie fasi della maratona, dal Ponte di Verrazzano a Central Park sarà un’emozione che mi accompagnerà per molti anni. Sapendo che tutto è frutto di appassionati e sudati allenamenti.
E poi un capitolo a parte lo merita la mia grande squadra, il VILLA AURELIA – FORUM di Roma, che in questi ultimi due anni mi ha trasmesso la religione della corsa e l’applicazione nella fatica. E’ incredibile leggere nel volto di quei ragazzi/e – qualcuno già uomo e donna – la passione che trasuda nelle parole, nei gesti, nelle piccole cose. Ho davvero gustato la familiarità di una tenda (non solo simbolica) in cui caricare le batterie prima e condividere le sensazioni dopo. E quell’affetto simpatico di incoraggiarsi in gara, di aspettarsi sul traguardo, di congratularsi e di darsi appuntamento a presto. Magari nel nostro meraviglioso centro sportivo, laboratorio di fatica e di metodo. Se la corsa è una religione, allora stamattina ho fatto esperienza di fede: quella fede anonima costruita su piccoli gesti ma resa più saporita dalla passione con cui li si firma.

 

squadra

 

E’ dentro queste immagini che ha trafugato pure Paolo di Tarso, l’atleta di Dio, per parlare della fede: lodando la padronanza dell’atleta, l’impegno totale, il raccoglimento durante la gara, il non risparmiarsi ammaestrava circa l’agonismo spirituale, l’addestramento dell’anima, la corsa verso Cristo. Che è risposta al traguardo dell’Eternità. E, all’amico Timoteo, confessava il suo segreto d’atleta: «Corro perchè conquistato» (Fil 3,12). Nessun atleta corre tanto per correre: ad accendere i suoi passi c’è sempre un sogno, un tocco di seduzione, un frammento di bellezza. Un qualcosa che seduce e che attira: quel qualcosa che la Teologia chiama trascendenza. Cioè una voce dall’oltre. Per ascoltare la quale l’atleta necessita di un cuore ordinato. E di una mente libera.
Liberi pensieri in una libera mattinata nella quale, macinando 30.000 metri, ho recitato un rosario. Abbinandoci ad ogni sua decina il ricordo di chi ogni giorno m’aiuta a tenere il mio cuore ordinato e la mia mente pulita.
Per essere un buon atleta. Ma, più di tutto, un sacerdote col sorriso. Quel sorriso che nasce quando il cuore è acceso.

“Ho perdonato errori quasi imperdonabili, ho provato a sostituire persone insostituibili e dimenticato persone indimenticabili. Ho agito per impulso, sono stato deluso dalle persone che non pensavo lo potessero fare, ma anch’io ho deluso. Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo; mi sono fatto amici per l’eternità. Ho riso quando non era necessario, ho amato e sono stato riamato, ma sono stato anche respinto. Sono stato amato e non ho saputo ricambiare. Ho gridato e saltato per tante gioie, tante. Ho vissuto d’amore e fatto promesse di eternità, ma mi sono bruciato il cuore tante volte! Ho pianto ascoltando la musica o guardando le foto. Ho telefonato solo per ascoltare una voce. Io sono di nuovo innamorato di un sorriso. Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia e… ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale (che ho finito per perdere)… ma sono sopravvissuto! E vivo ancora! E la vita, non mi stanca… E anche tu non dovrai stancartene. Vivi! È veramente buono battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perchè il mondo appartiene a chi osa! La Vita è troppo bella per essere insignificante!” [Charlie Chaplin]

*P.S.: ho pregato anche per Peppone. Diteglielo se lo vedete: perchè mi sa tanto che prima di fare una sfida bisognerebbe fare bene i conti. Lo raccomanda anche il Vangelo!

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