Con Mosè era stato chiaro. Eppure se c’era uno che meritava quella grazia era proprio lui. Perché svegliarsi una mattina per portare a spasso il gregge e scoprirsi nel mirino di Dio non è mai cosa dalle dolci faccende; nemmeno sapersi fragili di lingua e trovarsi al cospetto del faraone per convincerlo a lasciar partire Israele. Men che meno, appena al di là del Mare, vedersi costretti per quarant’anni a manovrare un popolo che sognava le vecchie pentole di cipolle d’Egitto e cercare di sintonizzarlo nelle frequenze di un Dio che parlava di una terra dove, al posto di pentole e cipolle, ci stavano latte e miele che scorrevano a fiumi. E lui, uno dei migliori pastori di greggi, sempre ficcato là: a metà strada tra un Dio tutto santo e un popolo dagli ormoni agitati. Sapendo poi dove lo saluteremo – ad un passo dalla Terra Promessa: la vedrà (se la gusterà con lo sguardo) ma non ci entrerà -, quella richiesta sapeva di fanciullità, di onesta voglia di vederlo questo Amore che gli aveva scompigliato i suoi viaggi di pastore: «Mostrami la tua gloria!» (Es 33,18). Ti prego, mostrami che faccia hai: ti voglio vedere, Dio dei miei padri. E Lui, il Dio inafferrabile, ancora una volta a non concedersi. «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Evviva la modestia del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe: “Sono troppo bello, Mosè. Scusa, ma se mi vedi, svieni”. Un’unica concessione, giacchè anche Dio s’intenerì per quel dolce richiamo del cuore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si può vedere». (Es 33,18-23) Il volto no, Mosè: è questione di sicurezza. Le spalle sì, lo meriti. Siediti lì, io passo e ti copro il viso: poi guardami. Sono il tuo Dio. “Dio brutto e cattivo: non si tratta così Mosè, povero cristo di pastore”.
Sopratutto se quello che non fu concesso a quell’uomo martoriato, lo si concederà un giorno ad un pescatore. Perchè così Dio volle: ai pastori le spalle, ai pescatori il volto. Parola di Marco, uno dei quattro che hanno scritto: «Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime» (liturgia della II^ domenica di Quaresima). Mica i più santi: li ha scelti di cuore e di petto, tre a nome di tutti. Anche a nome di Mosè. Li ha portati su per il monte per fare loro una confidenza: si è fatto d’una bellezza inconsueta, si è trasformato tutto in un’armonia, sorride come mai prima d’allora. Tre uomini, non dodici, devono ricevere quell’anticipazione del Regno, devono sapere come Lui è davvero. Perché non è uguale come tutti gli altri giorni. Per un istante vuole deporre la sua camuffatura d’uomo, collaudare se – gettata la maschera e vestitosi di sole e di neve – la loro amicizia resisterà o si tradurrà in paura. Resiste? Così e così: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Grande Marco, chissà Pietro quanto gliel’avrà rinfacciata quell’annotazione. Però c’è, ed è giusto che rimanga: «Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati». Spaventati per troppa bellezza: glielo aveva detto a Mosè, anche quella volta sulla cima di un Monte. Non fu, dunque, vigliaccheria d’amante quel pomeriggio, fu delicatezza d’Amore: “Non voglio spaventi, voglio sguardi”. Sul monte sta anche lui, il vecchio Lucifero, lì appena dietro Pietro: “Bloccalo, bloccati qui, bloccatevi. Cosa ve ne importa di quelli rimasti laggiù?”. Il Demonio lo sa che l’uomo è fatto per gli incanti: fermarsi dove è felice, dimenticare giù nel caos della valle le tribolazioni e il destino degli altri che non sono stati prescelti, nascondersi in quella miseria dove il cielo sembra carezza la terra.
La Trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, una compenetrazione che diventa pure luce (…) Ciò che egli è nel suo intimo e ciò che Pietro aveva cercato di dire nella sua confessione, si rende percepibile in questo momento anche ai sensi: l’essere di Gesù nella luce di Dio, il suo proprio essere luce come Figlio. (J. Ratzinger, Gesù di Nazareth)
Tutti a casa, invece: tutti giù nella valle. A raccontare, a incoraggiare, a confortare. A spandere giù per il crinale quella storia che sa di buono. Nessuno quassù, a due passi da Lui: tutti giù, seriamente impastati di storia, di fango e di polvere. Tutti giù dagli altri; e in fretta, pure. Quella confidenza non fu privilegio di pochi, fu una consolazione per tutti. Dio non mente, è bellissimo, alla faccia di tutti coloro che lavano i panni quaggiù: «Nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche». Povero, vecchio diavolo.
Avviso Parrocchiale
– E’ iniziata ieri sera a Cogollo del Cengio (VI) l’avventura della Quaresima dal titolo “Con il naso all’insù”. E’ sempre una sorpresa vedere tutta quella gente che cerca Dio con lo sguardo, a tentoni, con colpi di cuore e di petto. Il prossimo mercoledì la seconda tappa: “L’udito. Collaudo tecnico in quota”. La settimana prossima inizia anche il percorso di Quaresima a Ponte di Piave (TV) dal titolo “Il gusto di Dio”. Ogni giovedì, tra amici che spezzano la Parola dentro il trambusto della vita quotidiana.
Un grazie a chi, da mesi e dietro le quinte, rende possibili questi piccoli sogni che, talvolta, diventano grandi segni. A disposizione di tutti.
– La Quaresima continua anche sulle pagine di Credere (in tutte le edicole, dal giovedì). Questa settimana l’inserto (da staccare e conservare) ha come titolo “Acuire la vista”.