sale-7«Volete andarvene anche voi?»(Gv 6,68). Questa domanda risuona, forse ogni giorno, da duemila anni a questa parte. E i dubbi si fanno più stringenti, proprio in Occidente, guardandosi intorno.
È innegabile che la società sia profondamente cambiata. La cristianità medievale è lontana anni luce dalla società attuale, che pare aver totalmente dimenticato i suoi valori. O, forse, li ha solo accantonati in un angolo, nascosti al mondo per preferirgliene altri, più allettanti, quali la libertà o l’autosufficienza, sublime illusione che, ahimè, s’autodistrugge di fronte al sopraggiungere della morte, che, ineluttabile, riporta davanti ai nostri occhi come stanno davvero le cose.
La sofferenza maggiore per l’uomo moderno è forse proprio l’impotenza: la tecnologie, le nuove risorse lo illudono di poter avere il controllo su tutto in un insano delirio di onnipotenza.
Insano proprio perché illusorio.
La morte, con la sua forza che tutti temiamo e che vorremmo in ogni modo eliminare dalla nostra vita, ha però un pregio: ci riporta alla realtà e ci fa abitare il presente.
Qui non siamo in Nigeria, dove i cristiani rischiano la vita andando a Messa. Non siamo in Pakistan, dove è possibile essere accusati di proselitismo ed incarcerati, come Asia Bibi. Né in Sudan, dove la follia umana può arrivare a costringere una donna a partorire in catene. Tre donne, tre perseguitate dei tempi moderni. Per le quali pare non sia possibile una vera mobilitazione occidentale.

Vengono due dubbi. Il primo è che sembra un paradosso piuttosto grave che i Paesi occidentali, che si fregiano d’essere patria di libertà, non siano in grado di farla rispettare. Un paradosso che fioriscano le associazioni a salvaguardia dei diritti dell’uomo, eppure essi possano essere impunemente calpestati in ogni parte del mondo. È mai possibile?
Il secondo dubbio è che forse, davvero, il coraggio è donna. Tante sono infatti le storie simili a questa, che hanno per protagoniste delle donne. Donne disposte a giocarsi la vita stessa per difendere ciò che amano: i figli, la famiglia, la fede.
In realtà, anche in occidente, la libertà si rivela solo apparente.
Quasi sempre, non si arriva ad alcuna violenza fisica, spesso avviene la “passione delle pazienze”: piccoli sgarbi, dileggio, mancanza di rispetto e prese in giro. Un esempio collettivo è quanto successo a Siena con la manifestazione delle Sentinelle in piedi: inizialmente approvata, è stata poi limitata fino ad essere lasciata in balia dell’altrui contestazione e, quindi, nei fatti, rovinata. Si tratta di un fatto la cui gravità è evidente per l’attentato alla libertà di espressione e di manifestazione che, a fronte di un espresso giudizio positivo della Questura e ricevute le dovute autorizzazioni, non ha motivo di essere in alcun modo vietata od ostacolata. Pena la mancanza di credibilità dei principi fondanti della Costituzione, della Carta dei diritti dell’uomo e dei cittadini e di tutti quei documenti che attestano i frutti di secoli di battaglie per la libertà di espressione e per la democrazia. Cosa che, in effetti, andrebbe di per sé discussa con attenzione, perché questa fede incondizionata nei documenti della società civile è spesso immotivata e dettata unicamente da un sentimento fideistico e ancor meno razionale di quella fede tanto spesso criticata.
Da questo punto di vista, senza dubbio, la fede richiesta in questo tempo è diversa da quella dei tempi antichi.
Alcune cose sono date per scontate, quasi nessuno ignora chi sia Cristo. Molti, però, hanno idee sbagliate o distorte su di lui, sui dogmi, sulla dottrina della Chiesa. In teoria, tutta l’Europa è costellata di cattedrali e campanili, ma, nella pratica, c’è stupore di fronte alla ridefinizione di tanti pregiudizi costruiti dai “sentito dire” che, a poco a poco, si sono sostituiti alla realtà, creandone una alternativa rispetto a tante questioni, non ultime le parole del Papa che, abitualmente, sui giornali non corrispondono a quelle uscite dalla sua bocca.
Soprattutto per i giovani, è facile sentirsi “piccolo gregge” nel senso deteriore del termine: degli sfigati “costretti”, per rispetto alla loro religione, ad accettare limitazioni alla propria. Ecco che, in questa prospettiva, iniziative a mio avviso belle come le Giornate Mondiali della Gioventù rischiano di essere fraintese, diventando, in un certo qual modo, momento di sfogo in cui non ci si sente più “piccolo gregge” ma “grande tribù”. Questa prospettiva è sbagliata, dal punto di vista ecclesiale, perché perde di vista Cristo. È in lui che ha sede il valore peculiare della Giornata della Gioventù, non nella soddisfazione quantitativa che può venire dal numero dei partecipanti. Perché se così fosse, la Chiesa avrebbe perso il proprio ruolo, trasformandosi nell’ennesimo sindacato.
No, grazie. In realtà, non è questo che cerchiamo, quando ci lasciamo andare alle nostre umane debolezze o a qualche particolare frustrazione a motivo della quale la nostra insicurezza ci spinge a cercare conferma nei numeri, quasi che da quello dipenda la forza di una Verità. Come se una bugia, ripetuta da milioni di persone, potesse divenire verità!
La realtà è che, come Pietro, in fondo al cuore lo sappiamo che “solo Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,69). È questo tenace legame, di vita e d’amore che seda le ribellioni, allorché, come Pietro, plachiamo la ribellione e ci ascoltiamo, accorgendoci, come i discepoli di Emmaus, che “ci ardeva il cuore in petto, quando ci spiegava le Scritture”.
Sicuramente, ciò non basta a placare del tutto dubbi e perplessità al riguardo, ma forse sarebbe bello, di tanto in tanto, che la richiesta fosse di essere “sale della terra”: nella richiesta stessa è insita, in un certo senso, la necessità di non essere totalità.
Quindi, dovremmo metterci il cuore in pace, fare meno gli economisti, sforzarci di guardare con gli occhi di Dio, che, evidentemente ragiona in modo diverso, se è pronto a lasciare 99 pecore già al sicuro per andare a cercare quell’unica lontana dall’ovile!


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