Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

Ebola

Con il più aristocratico dei vestiti cuciti addosso: nell’abbigliamento del silenzio. Quello delle grandi occasioni, delle liturgie solenni, di ciò che è stupore e grandezza: la rugiada, il fiore, la neve. Di ciò che nasce e fa nascere senza far rumore: le lacrime, il seno di una donna, il pensiero. Li hanno fotografati così: silenziosi e muti, con le mani in pasta. E di loro hanno detto che sono l’orgoglio del 2014 di Padova. Orgoglio nella più illustre delle sue accezioni: non superbia, amor proprio o presunzione. L’esatto contrario: la dignità, la fierezza, l’audacia. L’umano che diventa divino: l’uomo che per gli uomini è quasi Dio.
E’ ciò che è successo dopo i fatti di Betlemme: la storia non sarà più la stessa storia. E’ la storia di don Dante e dei medici del CUAMM: il silenzio della manovalanza, delle mani sporche e delle membra infiacchite, delle occhiaie smunte dalla ricerca. Dell’uomo che, seppur febbricitante e disabilitato, rimane il microscopio per intravedere le sembianze di Dio. Lui, loro e lei: l’Ebola. Lo spauracchio, l’agguato di Lucifero, la morte che tenta d’avere la meglio sulla vita: è dai tempi biblici che la vita ingelosisce la morte, che la morte sogna di ribaltare le sorti. Non ci riuscirà: però ci riproverà. Sempre, ad oltranza.
Loro sono medici: dei corpi hanno fatto il loro punto d’osservazione sul mondo e sulla storia. Il loro condottiero è pure lui un medico che, per un’imboscata divina delle più imprevedibili, veste i panni del sacerdote: un medico dei corpi e anche delle anime. Gli agguati di Dio non immiseriscono l’umano: lo fanno splendere. Sulle rive del lago li trova pescatori e li lascia tali; cambia solo la destinazione d’uso del mestiere: invece che pesci, pescheranno uomini. Dei pescatori e dei medici: cureranno i corpi perché dentro staneranno il sospetto di una presenza, di una dignità, forse anche di un’anima. Corpi e e anime: l’uno senza l’altro tremano, s’avvertono soli. L’Ebola fa paura pure a loro che, tra batteri e provette, investono una vita a smascherare i segreti della natura e dell’umano. Far paura, però, non è tutto: oltre la paura c’è il coraggio. Che non è la mancanza di paura ma il vincere la paura per un sogno più grande: un’umanità migliore, un domani diverso, una storia graziosa.
Li hanno fotografati e premiati vestiti di silenzio, lontani da casa: a chi opera – nelle sale operatorie o nel segreto dei confessionali – è noto il comandamento dell’attenzione e della concentrazione. Anche della lontananza, se serve: certi cuori s’aggiustano e s’annodano annullando distanze chilometriche. E’ un premio che, c’è da giurarci, non muterà di un solo millesimo la loro spassionata ricerca dell’umano: certi premi sono più per chi li istituisce che per coloro ai quali andranno. Però è un premio “dal basso”: l’ha decretato il popolo. Quello semplice, la gente di strada e di bottega, i lettori della domenica e quelli del lunedì. Quelli che, a conti fatti, forse nemmeno sanno cos’è questa maledetta malattia di cui tanto si parla e nemmeno sanno dove sta la Sierra Leone, il Togo e il Benin. Sanno, però, che quando l’umano trema e frana, chi decide di frequentarlo non può essere un uomo qualsiasi: sono volti coi quali fare i conti.
Hanno iniziato l’anno nella frontiera del rischio: per i gladiatori ogni nuovo giorno è l’inizio di una nuova storia, di un nuovo anno. Qualcuno, strappato alle grinfie della morte, vuole tornare laggiù: quello che gli uomini chiamano il “mal d’Africa” nei Vangeli si chiama Novella Buona da annunciare. Chi, negli inferni, impara ad amare, nell’inferno vorrà sempre tornare: non per il gusto di diventare inferno pure lui ma per fare spazio a ciò che nell’inferno non è inferno. Per dargli voce. Ci sono mattine piacevoli da salutare: sono le mattine in cui il microfono lo prendono in mano uomini e donne che hanno qualcosa da dire. Da dare.

(da Il Mattino di Padova, 4 gennaio 2015)

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