Nel rito ambrosiano, la V domenica di Quaresima è ricordata come “la domenica di Lazzaro”, dal nome del protagonista del Vangelo, la cui risurrezione ha contribuito, al suo tempo, a far conoscere il nome di Gesù come possibile Messia, oltreché come “operatore di miracoli”.
Ascolta, Israele!
Poi, viene la legge. In seguito, l’osservazione di precetti e prescrizioni. Prima, però, innanzi a tutto, viene l’ascolto. L’ascolto di una narrazione. Una narrazione che dice l’identità, perché racconta la storia di un intero popolo che, dai tempi di Abramo, arameo errante, tra alti e bassi e molte vicissitudini, si è trovata ad essere faccia a faccia con Dio, da lui condotto per quarant’anni nel deserto, dopo essere uscito dalla schiavitù d’Egitto. È dentro questa storia che s’inserisce la richiesta di Dio di aderire ad un’alleanza, di prestare fede ad un patto. Non è una richiesta di eseguire un comando, la prima domanda.
“Uno di famiglia”
Alla schiavitù in Egitto e al grido muto di dolore di un popolo, risponde il Dio dei nostri padri[1], epiteto che suggerisce un personaggio divino che assume i connotati di “uno di famiglia”, presente presso il popolo, anche e soprattutto nei suoi momenti più difficili.
Come ricevuto da Es 3, 14, il passo in cui Mosè ascolta il nome di Dio, il suggerimento è che Dio sia colui che si fa presente al suo popolo, prima e dopo averlo liberato dalla schiavitù d’Egitto: Dio è colui che ha la caratteristica di essere presente, perché sa farsi presente, accostandosi all’uomo, proprio nelle su quotidiane vicissitudini.
“Latte e miele”[2]
Quarant’anni nel deserto. Sì, ma con il sollievo della manna e delle quaglie, dispensati dalla sete, perché Dio aveva anche fatto scaturire “acqua dalla roccia”[3]. Non un viaggio con tutti i comfort, certo. Eppure, il popolo d’Israele rimase sempre sotto lo sguardo di Dio, come quello di un’aquila che si prende cura dei propri piccoli, finché non sono in grado di spiccare il volo, in autonomia[4]. La terra in cui giungono si mostra davvero una buona terra (dove crescono “latte e miele”: quindi, abbondanza di tutte le risorse necessarie al proprio sostentamento). Eppure, non è priva di difficoltà. Non è una terra libera, è una terra da conquistare. Come la nostra vita. Non nasciamo liberi. Nasciamo con la possibilità di esserlo. Ma sapere come utilizzare la nostra libertà è il lavoro di tutta una vita, compresi sbagli e fallimenti di ogni tipo, lungo la strada per raggiungere questo obiettivo.
“Ti prostrerai”
Prostrarsi significa riconoscere la presenza della divinità. È quanto compie Mosè, dinanzi al roveto ardente. Offrire le primizie della terra in cui si sono stabiliti, è il modo con cui gli Israeliti proclamano che ciò che hanno conquistato è in realtà un dono di Dio nei loro confronti. Rendere lode a Dio, talvolta, ci fa convinti di essere nel giusto e, conseguentemente, di essere immuni dal male, in quanto protetti da Dio.
La morte del giusto
L’episodio di Lazzaro riporta in vita l’annosa questione della morte del giusto, come audacemente emerge, nel Primo Testamento, nel libro di Giobbe. Come può il giusto essere colpito dal dolore, dalla malattia, dalla morte? Probabilmente, le sorelle di Lazzaro devono averci pensato. Era di casa, a Betania, il Messia: una porta a cui bussare, con la certezza di trovare un boccone e un tetto sulla testa, a qualunque ora del giorno o della notte. Per lui, erano una famiglia amica. Per loro, forse, una sorta di assicurazione sulla vita, almeno da quando si iniziava a vociferare che potesse essere il Cristo.
L’inattesa attesa
«Signore, ecco, colui che tu ami è malato»[5]: a questa notizia, noi ci aspetteremmo che il Rabbi di Nazaret, messe le ali ai piedi, s’impadronisse della prima cavalcatura disponibile e partisse al galoppo, piuttosto lasciando indietro quella ciurma scalcinata dei suoi discepoli. Non è un caso che l’attesa desti scalpore. “Non era tuo amico?”. Per un amico, si è disposti a lasciare tutto, a maggior ragione se, all’orizzonte, si palesa anche solo l’ipotesi che si tratti degli ultimi istanti. Chi non ha una frase ancora in sospeso, una questione da chiarire con qualcuno, che vorrebbe fare prima della morte?
Rimane ancora avvolto dal mistero il perché Cristo non accorra alla richiesta d’aiuto. Quel che certo, però, è che quella famiglia di Betania pare toccare le viscere[6] del cuore di Gesù, poiché questo è forse l’unico momento, in tutti e quattro i Vangeli, in cui vediamo il rabbi di Nazaret piangere.
Divin pianto
Gli uomini, si sa, è più raro delle donne che piangano. Non è questione di sensibilità e neppure di cultura. È semplicemente che esprimono il proprio dolore (e, più in generale, le proprie emozioni, dal momento che le donne non piangono unicamente per un lutto od una sofferenza) in modo diverso. A maggior ragione per tale generale rarità, constatare un dolore che porta alle lacrime, può essere, in un certo senso, attestato di autenticità.
La vita che non muore
Possiamo a stento immaginare lo stupore degli astanti. Un morto “ormai di quattro giorni”[7] che riprende vita. È così sorprendente che – lo scopriamo più avanti nel Vangelo[8] – Lazzaro sarà perseguitato, poiché molti avevano iniziato a credere nella messianicità di Cristo, proprio sulla base della suo ritorno, vivo, dal sepolcro. Eppure, prima o poi, anche Lazzaro – immaginiamo – sarà morto. Non sappiamo quanto tempo dopo, eppure è abbastanza chiaro che il suo non era un “corpo glorioso”, ma solo un corpo ritornato – temporaneamente – in vita. Il più grande miracolo di Cristo era, pur sempre, temporaneo. L’azione più grande doveva ancora arrivare. E riguarda se stesso.
Una promessa seria
La Pasqua, ogni Pasqua, non è mai – solamente – un dolce ricordo, una pia devozione di quanto avvenuto ogni anno più indietro di un anno. Nella Resurrezione di Cristo, intravvediamo, come in controluce, la nostra resurrezione. Nella sua, può trovare solidità la speranza che giunga anche la nostra, che la morte e il dolore non abbiano il sopravvento, non siano conclusivi rispetto all’esistenza dell’uomo. C’è sempre stata, nel nostro cuore, la speranza che la vita non si concludesse con la morte. In Cristo, ha preso la forma della realtà.
[1] Dt 26, 7
[2] Dt 26, 9
[3] Es 17
[4] Dt 32, 11-14
[5] Gv 11, 3
[6] רחמים, Is 49, 5
[7] Gv 11, 39: quindi, secondo la tradizione giudaica, quando, ormai l’anima aveva già lasciato il corpo e non c’era speranza d’errore nell’accertamento della morte
[8] Gv 12, 9-11
Rif. letture festive ambrosiane, nella V domenica di Quaresima
Immagine: Pexels
Vedi anche: Ascolta e ricorda: sei libero!
2 risposte
Bellissimo questo episodio del Vangelo ci insegna molte cose… Ma una domanda riguardo l antico Egitto e la storia del popolo eletto Israele come si inserisce questo con le ultime scoperte dello scienziato Corrado malanga e C. Sotto le piramidi? Cordiali saluti