putto

Li ho sempre riconosciuti nell’attimo esatto nel quale se ne sono andati: eppure erano scesi in terra per un appuntamento fissato proprio con me. Di spalle li ho veduti: non mi è mai capitato di vedere che faccia hanno, il loro sorriso, la loro raffinatezza. Posso dirlo con certezza: faccia-a-faccia non li ho mai adocchiati, ma se li penso vestiti in borghese allora il paese degli angeli mi è assai familiare. Sono di casa. Ne ho visti tantissimi di angeli camuffati da persone ordinarie: ci sono sbattuto addosso, ho fatto a pugni, ho rivolto loro alterchi, “Spostati che devo passare io!” Mica pensavo fossero angeli: vivevano vite così ordinarie da sembrarmi persone ordinarie. Una volta, quand’ero proprio piccolo, mi sono svegliato una mattina che avevo una canzone così fissa in testa da canticchiarla a mia insaputa. “Cosa stai cantando?” mi chiese la nonna. Mica mi accorgevo nel mentre canticchiavo: “Si vede che un angelo ti ha cantato una canzone mentre dormivi” mi ha risposto lei. Fu così convincente da sbugiardare la mia incredulità.
La loro preghiera, così dolce da sequestrarmi l’anima, è stata la prima manciata di verbi imparati ancora prima d’imparare a leggere, scrivere: «Angelo di Dio, che sei il mio custode, illumina, custodisci, reggi e governa me che ti fui affidato dalla pietà celeste (Amen)». Verbi della prima ora bisbigliàti dalla nonna con la semplicità con cui, con un grappolo d’uva in mano, la vedevo assaporare gli acini, uno ad uno. Illuminare è un verbo che acceca, è il verbo della luce, la prima creatura del Creatore. Coniugarlo, declinarlo, è fare un corso d’elettricità: la vita è un’avventura che mira dritta alla luce. La qualità più importante di una casa è la luce: “Quanta luce fa entrare?” Penso che lo stesso si possa dire delle persone, lo stesso è da invocare agli angeli: “Illuminami, perchè io possa fare luce. Essere luce”. Custodire, poi, è verbo di manutenzione: manu-tenere è tenere la mano, tenersi stretti per mano. “Non correre troppo veloce, perchè il tuo angelo non ti sta dietro!” mi diceva la suora all’asilo. Donna benedetta, lei: ci vedeva giocare, saltare, farne a più non posso e gioiva con noi, più di noi. Forse immaginava stessimo giocando con i nostri angeli custodi, visto che i bambini hanno spesso dei compagni di gioco immaginari. Una custodia, la loro, sempre sottovoce, in punta di piedi: quando ci tengono a qualcuno, lo custodiscono esattamente così, senz’alzare la voce. Reggere, poi, è verbo di contenimento, mi richiama l’imbragatura d’una casa in fase di restauro: (sor)reggere è prendere sottobraccio, fare spazio sulla spalla, è tenersi forte sulla corda in salita. E’ augurio di scorta in pieno naufragio: diranno che non è tempo per te, che è stato tutto sbagliato, ch’è impossibile rifiorire con questo fango addosso. “Tu fregatene! – mi bisbiglia spesso l’angelo -: tu ignorali e splendi!” Ha ragione: oggi è difficile, domattina sarà ancora peggio, ma dopodomani ci sarà un sole bellissimo. Governare, purtroppo, è il verbo del malumore: il verbo della politica, il sospetto dell’usurpazione, l’annuncio di sottomissione. E’ vero: chi non sa governare è sempre un usurpatore, la sua agenda è una smemoranda. Chi sa governare, però, è un gentiluomo: governare il cuore, poi, è affare di chi ama ed è nato per amare: “Governami! – dice l’amato all’amante – Mostrati essere la mia regina, io sono il tuo re”. Confidenze notturne sotto un cielo di angeli.
Mi è stata assegnata questa scorta perchè fui affidato loro «dalla pietà celeste (Amen)». Per un puro atto d’amore di Dio viaggio scortato da questa schiera d’angeli: tengono una lampada in mano per illuminarmi la strada, mi (man)tengono quando passeggio sul bordo dei miei abissi, mi sorreggono quando le ginocchia sono fiacche per troppo stare-in-piedi, mi governano perchè sanno bene che, da solo, mangerei fuori tutti i risparmi. Io credo d’essere libero, ma in realtà non lo sono affatto: viaggio scortato, non mi è più permesso d’andare all’inferno senza averci (ri)pensato più e più volte. Sono guardato a vista come il peggiore dei criminali. Come il più delicato degli amori. Non li ho mai visti questi miei angeli-custodi: viaggiano non visti, mentre sono sveglio e mentre dormo. Sono milioni di milioni, eppure ho sentito Dio chiamarli per nome. Un giorno un assassino, dentro una cella di galera, guardava me ma guardava oltre il mio viso: forse stava intravedendo un angelo: “Anche qui: non è possibile?” mi sono detto. Mi sono accorto che quell’uomo sorrideva.

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