Virgulto in terra arida

La liturgia della domenica che precede la Pasqua prevede, come prima lettura, il quarto carme del servo del Signore di Isaia (capp. 52-53), che la tradizione cristiana ha riletto alla luce del kerygma  cristiano di morte, passione e risurrezione di Cristo: Gesù, come il servo, ha sofferto, ma, nella risurrezione, è stato rivestito della gloria “che non tramonta”[1]. Uno spreco tenace, quello divino, che, nel corso della storia, non si stanca di donare senza misura, al di là della risposta dell’uomo.

Come un virgulto

«È cresciuto come un virgulto davanti a lui
e come una radice in terra arida.» (Is 53, 2)

L’asperità delle condizioni è l’alibi dei perdenti. Dio diventa padre di un figlio ostinato, si prende cura di un popolo smarrito, si avvicina a chi ha perso tutto. Non si lascia scoraggiare dalle condizioni iniziali, perché, nei suoi occhi, ha presente qual è il suo sogno sul suo popolo, così come su ogni sua creatura. Allora, neanche l’aridità è più un ostacolo. Perché il suolo arido può essere innaffiato, così come, tra le mani di Dio, il cuore di pietra può diventare “di carne”[2].

No appeal

«Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere» (Is 53, 2)

In questi tempi, di skin care routine e venerazione della cura estetica, proporre all’adorazione un Dio che, fattosi uomo, si ritrova col volto sfigurato e tumefatto dai colpi e dalle battiture, è un vero e proprio atto rivoluzionario. Cristo, in controtendenza, afferma: «Quando sarò elevato da terra, attirerò a me ogni cosa» [3], attestando che solo in Lui l’intera creazione può trovare il proprio compimento, non solo l’uomo – anche quello moderno, che, nonostante si sente emancipato e affermi di non sentire la necessità di Dio, spesso la manifesta come la mancanza di qualcosa a cui non sa dare un nome –. Lo straordinario è vedere proprio nel Dio crocifisso la manifestazione della gloria di Dio, come riuscì al centurione[4] e al buon ladrone[5].

Occhi alla gioia

La prospettiva che regala la seconda lettura ci aiuta a fare il punto sul cuore del mistero cristiano. Ce lo fa guardare con gli occhi di Cristo: se questa è la sua prospettiva, la nostra non può essere diversa! Con l’avvicinarsi della Pasqua, l’obiettivo si restringe, verso la meta del cammino. Importante è però non selezionare solo una parte.

«Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio». (Eb 12, 2).

Se, fino al secolo scorso, a dominare era una meditazione dolorosa e compunta sulle sofferenze di Cristo, oggi, il rischio è di arrivare alla Resurrezione, senza passare dal via. Entrambi gli atteggiamenti sono in realtà scorretti. Il mistero pasquale contiene al proprio interno sia la passione e la morte che la risurrezione. Il giovedì anticipa il Venerdì Santo, anticamera della Resurrezione, che dà il senso del quadro: ma il senso rimane vuoto senza la concretezza dei passaggi che lo precedono. E il “passaggio” attraverso la morte è uno snodo assolutamente ineludibile, senza il quale anche la resurrezione perde il proprio significato. E il fatto che, anche tra i cristiani, sia un fastidio dover parlare della morte, è significativo sintomo di un ambiente culturale che ormai cerca di esorcizzare la morte, rifiutandosi di viverla, perché ormai ha perso la fede anche solo nella possibilità che esista qualcosa dopo di essa.  

Il pauperismo di Giuda

«Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?» (Gv 12, 5)

L’osservazione di Giuda è particolarmente in voga attualmente. La Chiesa è ricca, per definizione. Anche se tutte le offerte se ne vanno in affitto e bollette. E quel che rimane, magari, aiuta chi non riesce a pagare le proprie, di bollette. Anche se le ricchezze sono patrimonio dell’Unesco e direttamente controllati dalla Sovrintendenza ai Beni culturali, per cui chi vi risiede è – letteralmente – ospite a casa propria. Pur essendo sempre ben accette le critiche  costruttive, che aiutano a migliorarsi, e ben consapevole che non sempre l’amministrazione – anche quella ecclesiastica! – sia cristallina, oltre alla necessità di tenere presente la concretezza della realtà, giova constatare, tuttavia, come prosegua, lapidario, il Vangelo:

Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro (Gv 12, 6)

Tale osservazione dovrebbe, quanto meno, indurci a pensare che anche l’osservazione precedente, ancora oggi, possa non provenire da un reale interesse per il bene dell’altro, ma da secondi fini, o – quanto meno – secondi pensieri.

L’invito allo spreco, stile di Dio

La cena di Betania, a casa di Lazzaro redivivo, è un palese invito allo spreco. No, non è un invito a boicottare le scelte sostenibili. Si tratta di uno spreco diverso: si tratta di sprecare noi stessi, come Maria versa senza ritegno un profumo che vale dieci volte il prezzo che Giuda pagherà per tradire Gesù. Cristo benedice quel gesto, perché ha lo stesso stile della Croce: una donazione smisurata. Che bada all’amato, non a quanto mi costa. Che non dona a i poveri solo se poi si può detrarre dal fisco. Che non mette il timer al tempo da dedicare a chi chiede di essere ascoltato. Perché, come la vedova[6], confida che quanto donato non andrà mai perduto, in quanto, se trascritto nel cuore di Dio, che conta le stelle e chiama ciascuna per nome[7], così come conta i  capelli del nostro capo[8], come potrebbe sfuggirgli qualunque cosa riguardi la sua creatura?


Rif. letture festive ambrosiane nella Domenica delle Palme


Immagine: Pexels


[1] Is 60, 19-20

[2] Ez 36, 26

[3] Gv 20, 32

[4] Mt 27, 54

[5] Lc 23, 40-43

[6] Mc 12, 38-44

[7] Sal 147, 4

[8] Mt 10, 30

3 risposte

  1. Il Suo commento non è una meditazione qualunque…caro Don Marco…
    A lei il Signore le ha dato il carisma di gettare l’acqua fresca della Misericordia, della Gioia, della Resurrezione di Cristo sulle arsure dei nostri deserti interiori…per fare rivivere le nostra ossa inaridite come quelle di cui ci racconta il profeta Ezechiele , che ritrovano la Speranza smarrita…
    Ora capisco anche perché lo Spirito Santo l’ha posto come cappellano alle carceri…
    Grazie anche per noi, perché anche ciascuno di noi liberi molte volte è vittima e prigioniero delle sue stesse colpe…

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