Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

rtor guest blog featured image Helping Students with Anxiety in School

Suo figlio potrebbe fare di più, ma non si impegna abbastanza”, il grande classico dei colloqui docenti-genitori.
In queste settimane mi è capitato di incontrare online una trentina di genitori per gli abituali colloqui settimanali e di metà quadrimestre e si è palesato davanti a me tutto il ventaglio di casistiche possibili: quelli bravi ed entusiasti, quelli che “sa, non è molto portato, ma si impegna tanto”, quelli che “è stanco, ci sono state molte verifiche” oppure quelli che “è distratto, sta crescendo” o ancora quelli che “a casa non parla di quello che si fa a scuola” e si potrebbe continuare a lungo.
In fondo, è una chiacchierata tra due adulti che vedono solo una parte del mistero che è proprio quel figlio/quella figlia. Ma ciò che più mi ha colpita è stato accorgermi di un malumore subdolo e strisciante e delle stesse conclusioni a cui sono arrivati, quasi all’unanimità, tutti i genitori: la mancanza di relazioni dei loro figli.
Ho raccolto preoccupazione per una vita sociale pomeridiana quasi assente, se non legata allo sport, e per il futuro di questi ragazzi. Li ascoltavo mentre condividevano e confessavano a voce alta pensieri e riflessioni che da due anni ormai sono come un ritornello di una vecchia canzone.
Lettura di una realtà che mi interroga da tempo e che nelle loro parole ha trovato ancora più conferme. Sembra proprio che, al di là di programmi, Uda e verifiche, la grande assente sia proprio la relazione.

Li osservo quotidianamente, questi ragazzi, e mi accorgo di quanto bisogno ci sia di fornire loro un vocabolario dell’amicizia. Di come la si costruisca, di come la si coltivi. Hanno bisogno di qualcuno che mostri loro che le amicizie hanno bisogno di tempo, soprattutto fisico, di corpo, quello vero, quello fatto di carne e ossa, di momenti da condividere, di esperienze, di pensieri detti a voce alta (e non solo scritti su una chat), di sentimenti espressi, di emozioni.

Di fronte a tutti quegli occhi adulti incontrati online mi sorge allora un’ulteriore domanda: ma noi glielo abbiamo mostrato prima, e soprattutto in questi due anni, come si coltiva una relazione? Abbiamo mostrato loro che noi per primi chiamiamo gli amici, che dedichiamo loro tempo, che li invitiamo a cena, al mare, a fare una passeggiata, che ci confidiamo con loro, magari al telefono, ma che ci siamo? Le nostre case sono abitate anche da queste relazioni o rimangono isole, sole e “virtuali”?

Chissà se, osservando i nostri ragazzi e lasciandoci provocare da ciò che questo tempo ha s-velato, coglieremo l’occasione per fare un check-up della nostra mappa delle amicizie o se  ci ritroveremo a dire “potrebbe fare di più ma non si impegna abbastanza”.


 Fonte immagine: rtor.org

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