Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

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È di questi giorni una piccola-grande bella notizia: tre persone, che fino a poco tempo fa dormivano in auto a Velletri, hanno trovato un imprenditore attento e sensibile, che non solo ha garantito loro vitto e alloggio, ma ha avuto l’accortezza di nutrirne dignità e fiducia, assicurando loro anche – e soprattutto – un lavoro.
È stato bello vedere l’incredulità con cui queste persone hanno accolto una simile novità. Sia l’intervistatore che gli intervistati si sono soffermati su un dettaglio “non ci conosceva nemmeno”.
Difficile trovare una definizione più azzeccata ed immediata per la gratuità. Si tratta precisamente di questo. Vedere nell’altro una fame da nutrire (d’affetto, d’attenzione, di cura, di empatia, di ascolto) e pensare come venirle incontro, perché non importa il nome, il cognome, la provenienza. Nella difficoltà altrui abita l’umanità ferita e la ferita dell’umano necessita di attenzione.

 Se ci pensiamo, spesso, a pochi passi da noi, succede qualcosa di simile. Basti pensare alla “grande macchina” che mette in moto, ogni anno, l’oratorio estivo.
È una piccola, grande sfida di gratuità, che si rinnova. Al contrario dei centri organizzati in cui il divertimento è un business, negli oratori la serietà e la responsabilità educativa si sposano con uno slancio di gratuità, che diventa particolarmente encomiabile, soprattutto nei più giovani (la torma di adolescenti che sceglie di rendersi disponibile nel servizio di animatore, organizzando così il tempo libero dei più piccoli in modo educativo e costruttivo). Sono ragazzi delle scuole superiori, che decidono di mettere a disposizione il loro tempo libero in un servizio ai più piccoli, piuttosto che passarlo in modo anonimo, poco propositivo, effettuando una scelta che – è innegabile – comporta sempre qualche sacrificio. A partire dalla rinuncia a qualche ora di sonno in più (proprio in questi giorni in cui la scuola si è appena conclusa), oppure dall’accettare di essere diretti da adulti nella gestione delle loro attività. Qualche immaturità, qualche refrattarietà alle regole del vivere civile, qualche “ragazzata” tipica dell’età sono da mettere in conto; eppure, è significativo che tanti giovani scelgano di mettersi in gioco, di assumersi delle responsabilità, di assumersi un impegno. Non è banale, non è scontato, non è automatico. È uno di quei desideri grandi che nascono nel cuore e che, anche se sono assecondati con leggerezza, non mancano di portare frutti.
Specie quando i numeri sono grandi, la difficoltà maggiore si rivela – inevitabilmente – quella di mettere al centro il singolo bambino, sviluppando una relazione educativa specifica e mirata, in particolar modo nei confronti di chi ne ha più bisogno. Eppure, il tentativo non manca mai: perché l’attività educativa è una sfida appassionante che perde di significato, se non si rinnova giorno dopo giorno, nella quotidianità. E che difficilmente può funzionare davvero, se non ai avvia un gioco di squadra, che, coinvolgendo diverse fasce d’età e diverse competenze, ci ricorda che la Chiesa è una, ma non uniforme, è santa, perché lo è Cristo e non (subito) i suoi membri e cattolica perché i mille volti di cui si è ormai colorata la nostra società ci ricordano che non ci è più possibile “guardare Dio da una finestra sola” (don Bruno Maggioni)!
È opportuno nonché doveroso, infatti, ogni tanto, ricordare che, sopratutto quando i numeri sono a tre cifre, affinché tutto funzioni bene e si possa tornare a casa “stanchi ma felici”, sono molti di più i ruoli e le persone che si prodigano affinché ciascuno possa sentirsi come a casa propria. Cuoche e cuochi che si danno da fare per sfamare la ciurma affamata, volontari di tutte le età che si dedicano ai laboratori didattici, ricreativi e sportivi, tante solerti segretarie che raccolgono nomi ed adesioni dei ragazzi per le gite e le varie attività, così come personale addetto alla gestione del bar. Non c’è solo tanto “fare”: è inevitabile pensare che ci siano – anzitutto – entusiasmo, ascolto, disponibilità.

La gratuità è – del resto – il modo migliore per parlare di Dio senz’aprire bocca: per portare, con semplicità ma integrità, un frammento del Suo modo d’amare. È nella gratuità che sorge la domanda: “perché lo fai?”. Che è anticamera della domanda-di-fede “per Chi lo fai”. Può essere – anzi, già possiamo dire che, molto probabilmente, è proprio così – che il nostro modo d’amare sia lontano anni luce da quello di Dio. Che ci costa fatica essere fedeli nell’amore, costanti nell’amore, colmi di tenerezza nell’andare a cercare chi si è perduto, costanti nella verità, espressa con carità e autenticità. E che, il più delle volte, preferiamo scegliere la via più facile e fare l’esatto opposto.
Eppure, se davvero tentiamo di seguire la via della gratuità, non può non essere notato. E non può non essere notato, anche e soprattutto da chi non crede, perché contiene in sé la logica-apparentemente-perdente della Croce. Un dono per tutti, anche quando a beneficiarne sono in pochi, in virtù della suprema libertà che Dio ci lascia.
Ecco perché è la prima strada dell’evangelizzazione, specialmente per i “lontani della porta accanto”. Perché «non est creatura tam parva et vilis quae Dei bonitatem non repraesentet» (De Imitatione Christi: non esiste creatura così piccola ed insignificante da non rappresentare la bontà di Dio). Senz’altro, la vita stessa ci pone di fronte ai nostri limiti e sottolinea la nostra imperfezione. Eppure, se c’è un’opportunità attraverso la quale possiamo essere riflesso ed immagine dell’amore di Dio, questa è proprio la gratuità, in qualunque forma essa si presenti a noi.
Parafrasando, pur in modo grottescamente grossolano, quanto diceva Madre Teresa di Calcutta: “Vedi tutto grigio intorno a te? Iniziare a colorare un pezzetto, anche piccolo, intorno a te, vicino a te, magari, serve iniziare a partire proprio dentro di te!”. Nel poco, c’è già il germoglio del molto. Se Dio, facendosi carne, si è nascosto nel grembo di Maria, come può non vedere e non abitare nelle facezie del nostro quotidiano, nel nostro goffo, impacciato, ma sincero donarci?

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