Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

2008 Summer Olympics Mens 110m Hurdles Semifinal 1

Prima c’erano state frasi dette a mezza voce, lasciate svanire in un sussurro. Qualcuno dei compagni ridacchiava, qualcun altro li osservava come si guarda un fenomeno nuovo e sconosciuto, altri ancora esprimevano il loro totale disinteresse per la faccenda. Era sufficiente avere l’occhio un po’ allenato, li si poteva vedere giocare in giardino insieme al resto della classe ma poi, di tanto in tanto, si avvicinavano l’uno all’altra, simili a parti di una calamita e lì rimanevano per alcuni istanti, occhieggiandosi furtivamente. Poi li ho colti in flagrante, al momento di rientrare in aula. In fila ben ordinata, rispettosi dei distanziamenti, nonostante le mascherine che coprivano il volto sorridevano talmente tanto con gli occhi da illuminare il pomeriggio più del sole che stava giocando a nascondino tra le nuvole. Vietato tenersi per mano, recitano le norme anti-covid: loro hanno aggirato l’ostacolo, intrecciando il mignolo, cercando di nascondere le mani dietro la schiena.
“Ma succede sempre così?” Chiedeva un compagno durante la pausa mensa, agitando interrogativamente una forchettata che, da sola, aveva spazzolato mezzo piatto di pasta. “Vorrei che capitasse anche a me”, rispondeva qualcun altro, tra un sospiro e l’altro d’invidia. “Io spero invece che non mi capiti proprio mai”, facevano eco altri, con una buffa espressione di disgusto.
L’amore! Nessun sentimento è mai stato analizzato, sviscerato, celebrato, dissacrato, cantato… quanto lui. Senza l’amore non avremmo la quasi totalità della letteratura, della mitologia e delle canzoni. Cinema e teatro sarebbero improvvisamente più poveri e nei cioccolatini troveremmo aforismi dedicati forse all’economia (con tutto il rispetto per l’economia!). Di sicuro, non avremmo nemmeno questo articolo che state leggendo.
L’amore! Quel sentimento che rende tutto rose, fiori ed arcobaleni, quel bellissimo apostrofo rosa nella chiusura finale di “e vissero per sempre felici e contenti!”… Ecco, no. Quel tipo di amore è una bugia bella e buona. Una patina dorata e luccicante, che nasconde le crepe, gli ostacoli, i momenti d’inciampo, le pause forzate.
Bibbia e Vangeli ci insegnano che, per prima cosa, l’amore è dono di sé. Dio non solo non si esclude da questa regola, ma se ne fa promotore egli stesso, in prima persona. Anzi, in tutt’e tre le Persone, dal momento che la Trinità altro non è che uno smisurato abbraccio d’amore che raggiunge ogni uomo ed ogni angolo di universo. Ma farsi dono è probabilmente l’atto di fiducia più assurdo, l’equilibrismo più estremo, il salto nel vuoto più incredibile che ci sia. È mettere i bisogni altrui davanti ai propri, con tutte le fatiche del caso. È imparare, poco per volta, passo dopo passo. Lo possiamo paragonare ad una costruzione, che ha bisogno di un terreno adatto, fondamenta solide, muri portanti e via via tutto il resto.
Che sia sentimento tra coniugi o fidanzati, amore di genitore, fratello o amico, carità di sconosciuto che tende la propria mano per farsi presenza che aiuta, esso ha bisogno di non essere invadente: perfino una pianta, se non ha uno spazio adeguato per respirare e crescere, rischia di morire. A maggior ragione questo vale per ogni persona. A volte, l’amore deve anche accettare di fare un passo indietro e farsi vigile assenza: pensiamo a quando abbiamo imparato a camminare, alle nostre mani che, ad un certo punto, non potevano essere sempre sostenute, ma dovevano essere lasciate andare, dato che era il solo modo perché imparassimo a reggerci in piedi da soli. O a quando siamo andati via di casa, lasciandoci dietro le spalle un porto sicuro, desiderosi di intraprendere una nuova navigazione: quell’amore che ci aveva lasciato andare da piccoli rifaceva la stessa scelta, forse anche più dolorosa perché più ricca di incognite.
L’amore non è facile. Mai. A volte incontra ostacoli che sembrano insormontabili, si scontra con incomprensioni che fanno piangere lacrime amare, giunge a momenti che possono essere battute d’arresto e che chiedono seria riflessione sul percorso intrapreso. Richiede impegno, fatica, voglia di migliorarsi, empatia, attenzione per l’altro…
Visto solo così pare quasi solo un fardello. Meno male che c’è tutto il contorno, e che contorno! Sorrisi, abbracci, atti di gentilezza, risate di buonumore, silenzi colmi di gratitudine. “Ti penso, come stai?”, “Se hai bisogno, io ci sono sempre,” “Buongiorno, mi manchi!”
Una fatica, certo. Ma che vale la pena abbracciare, perché altrimenti la lunga marcia della vita perderebbe ogni senso.

Vicentina, classe 1979, piedi ben piantati per terra e testa sempre tra le nuvole. È una razionale sognatrice, una inguaribile ottimista ed una spietata realista. Filosofa per passione, biblista per spirito d’avventura, insegnante per vocazione e professione. Giunta alla fine del liceo classico gli studi universitari le si pongono davanti con un bel dilemma: scegliere filosofia o teologia? La valutazione è ardua, s’incammina lungo la via degli studi filosofici ma la passione per la teologia e la Sacra Scrittura continua ad ardere nel petto e non vuole sopirsi per niente al mondo. Così, fatto trenta, facciamo trentuno! e per il Magistero in Scienze Religiose sfida le nebbie padane delle lezioni serali: nulla pesa, quel sentiero le sembra il paese dei balocchi e la realizzazione di un sogno nel cassetto. Il traguardo, tuttavia, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, perché nel frattempo la città eterna ha levato il suo richiamo, simile a quello delle sirene di omerica memoria. Che fare, seguire l’esempio di Ulisse e navigare in sicurezza o mollare gli ormeggi e veleggiare verso un futuro incerto? L’invito del Maestro a prendere il largo è troppo forte e troppo bello per essere inascoltato, così fa fagotto e parte allo sbaraglio, una scommessa che poteva sembrare già persa in partenza. Nei primi mesi di permanenza nella capitale il Pontificio Istituto Biblico sembra occhieggiarla burbero, severo nei suoi ritmi di studio pazzo e disperatissimo. Ci sono stati scogli improvvisi, tempeste ciclopiche, tentazioni di cambiare rotta per ritornare alla sicurezza del suolo natio. Ma la bilancia della vita le ha riservato sull’altro piatto, quello più pesante, una strada costruita passo dopo passo ed un lavoro come insegnante di religione nella diocesi di Roma. L’approdo, più che un porto sicuro, le piace interpretarlo come un nuovo trampolino di lancio, perché ama pensare che è sempre tempo per imparare cose nuove.

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