“Santo, innocente, senza macchia” (Eb 7, 26): così è descritto Cristo, il Figlio di Dio, Dio come il Padre. Talvolta, però ci confondiamo. È quando pretendiamo che a questa corrisponda la Chiesa, che, in realtà è sempre un’idea di chiesa che è un oggetto di cui non siamo mai soggetto, ma che altri sono chiamati a rappresentare.
«Fecero ancora più silenzio»
La domanda sorge spontanea: è possibile fare ancora più silenzio? Esiste una gradualità, nell’esperienza del silenzio, oppure esso costituisce un assoluto, che non conosce gradazioni nella sua attuazione?
Prestare attenzione al contesto, forse, ci aiuta a percepire questa sfumatura: quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica (At 22,2). Ecco cosa aumenta la densità del silenzio degli astanti. Chiunque sia stato almeno una volta all’estero, lo sa. Sentire parlare la propria lingua madre, all’estero, è sempre un tuffo al cuore. È già “sentirsi a casa” e chi la parla diventa per noi un “fratello”, a cui saremo grati per sempre.
Questa dev’essere stata, press’a poco, la reazione di chi ascoltava Paolo. Era un confratello, un correligionario, qualcuno sentito vicino. Questo, nonostante, in realtà, questo discorso nasce all’interno di un contrasto coi Giudei, in Gerusalemme. Il motivo? Manco a dirlo, il medesimo che aveva rappresentato un grande motivo di contrasto per il Maestro di Nazaret: la purità cultuale. Nello specifico, aver consentito ad un greco (Tròfimo[1]) di oltrepassare il cortile dei Gentili.
«Alla scuola di Gamaliele»
Chi è questo, che parla una lingua fraterna, ma introduce nel luogo sacro chi dovrebbe restarne fuori? Saulo-Paolo racconta la sua storia di convertito, al limite dell’inverosimile. Quante volte gli toccherà ripeterla, tra incredulità e sospetto! Lui, il persecutore del cristianesimo e della nascente chiesa, lo era proprio in virtù del suo studio, raffinato e metodico, nonché prestigioso, presso uno dei più famosi, all’epoca, conoscitori delle Scritture. Come poter – quindi – tollerare una dottrina che differisse da quelle – rigorose del più puro farisaismo? Eppure, avvenne proprio così: il più intransigente dei persecutori, divenne Paolo, l’Apostolo delle genti che intercedeva, per loro, presso il Principe degli Apostoli, affinché indulgesse con loro ed evitasse loro l’obbligo della circoncisione, come richiesto, invece, da tanti giudei, convertitisi al cristianesimo.
«Custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano»
È ancora viva, nei cuori di tutti, a quel tempo, la testimonianza di Stefano, il primo diacono morto martire, che chiuse gli occhi perdonando i propri lapidatori, sull’esempio di Cristo. È ancora negli occhi anche di Saulo. Lui c’era. Non solo spettatore ignaro, bensì complice e connivente. Raccoglieva i mantelli a chi voleva evitare di sgualcire il vestito buono. Per la serie: lapidazione sì, ma senza macchie. E allora: lasciamoli tutti a Saulo, che, dal fondo, da lontano, li avrebbe conservati – i mantelli – immacolati. Il cuore indurito, però, forse gli si era iniziato a sciogliere già da lontano al vedere quell’uomo, forte e mite, cadere sotto le pietre, ma, guardando al cielo, perdonare gli assalitori.
«Santo, innocente, senza macchia»
In Cristo, nella Sua Pasqua, tutto è nuovo, rinnovato. Anche il sacerdozio. Che, però, non è senza radici. Al contrario, si radica in quell’offerta, familiare a noi, ma insolita agli uomini del suo tempo (veterotestamentario[2]), di Melchisedek: pane e vino.
«Questo era il sommo sacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai peccatori ed elevato sopra i cieli» (Eb 7, 26)
Con queste parole, la lettera agli Ebrei, però, descrive Cristo in qualità di sommo sacerdote. Talvolta, l’impressione è che vi sia la pretesa di poter affibbiare ai sacerdoti tale descrizione, con – inevitabile – insoddisfazione, qualora qualcuno di essi provochi, nei fedeli una delusione – fondata o infondata, è indifferente. È importante, anche se, talvolta, motivo di delusione, ricordare che il sacerdote, nella Chiesa, assomiglia più a Giovanni Battista che indica Cristo come “Agnello di Dio”[3] che a Cristo stesso. Benintesa l’azione sacramentale in persona Christi, è infatti, fondamentale, per il benessere psicofisico di tutti, ricordare che il sacerdote diventa tale rimanendo pur sempre un povero cristo, abbondantemente dotato di difetti. Diffidate e girate al largo dai fantomatici “guru” che si presentano come novelli-Cristi. In genere, quando si ha un’alta opinione di sé, spesso è anche l’unica in proprio possesso.
«Nessuno potrà togliervi la vostra gioia»
Da sempre, nella storia della salvezza, Dio “sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti”[4]. È consolante: il senso di realtà potrebbe rischiare di schiacciare, di fronte alle sfide che il futuro co riserva. Ma Cristo si preoccupa di ciò che realmente conta: che possiamo vivere, accompagnati da quella gioia che “nessuno potrà toglierci”[5]. A fronte di questo, la speranza ci rinfrancarci che la morte e il dolore, che pur incontrano la nostra vita, non possono essere l’ultima parola: il nostro è un Dio della gioia, ce la dona e fa sì che possiamo conservarla!
Letture festive ambrosiane nella VI domenica di Pasqua, anno C
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[1] At 21, 29
[2] Si ritiene possa essere vissuto nel II millennio a.C.; è citato in Genesi 14.
[3] Cfr. Gv 1, 29-34
[4] Primo saluto di Sua Santità Benedetto XVI, 19 aprile 2005
[5] Gv 16, 22
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