gregge

Quello del pastore è un mestiere all’aria aperta. Alla mercè della giungla: a seconda di chi lo guarda, potrà essere amico o nemico. Per un lupo, il pastore è cattivo: potesse, lo denuncerebbe per avergli tolto il cibo di bocca, è “limitazione di libertà”. La pecora, invece, deve al pastore la sua salvezza: dice grazie per averle tenuto distante il lupo dalla gola. Ovviamente il lupo e la pecora non sono d’accordo sul concetto di libertà. Cristo, da parte sua, vanta una discendenza di pastori: è figlio di un casato fondato sulla pastorizia. La discendenza, invece, si specializzerà in pesca e affini: dai monti all’acqua, sono sempre mestieri all’aria aperta. Di rischio, responsabilità e sforzi giganti. Il pastore, infatti, «cammina davanti ad esse (le pecore), e le pecore lo seguono perchè conoscono la sua voce». Che cammini davanti al gregge è una garanzia di serietà: significa che il gregge transiterà – magari soltanto dopo qualche attimo – dov’è già transitato il pastore. Rischia, dunque, il pastore: dove lui passa, spesso, non è ancora passato nessuno; dove passerà il gregge, invece è già passato il pastore. La responsabilità è del pastore: è lui che potrà condurre il gregge fuori pista oppure quasi sul ciglio del burrone, laddove l’erba è ancora fresca perchè nessuno ha ancora avuto il coraggio di sporgersi fin là. Questi, nella Scrittura, sono i pastori migliori: gente col fiuto fine, lo sguardo acuminato, dosi di coraggio a vendere.
Di tutt’altro genere il mercenario: appena può, si mette in-coda al gregge. Non sia mai che debba prendersi delle responsabilità: “Mica son mie le pecore, signori. Perchè rischiare d’essere sbranato? Figuratevi!” Vorrebbe comandarle da dietro, pretendendo l’ascolto. Non s’accorge, così facendo, d’essere ridicolo: come se un autista, non volendo rischiare in caso d’incidente, posizionasse la cabina del suo camion dietro il cassone, per poi voler scendere in strada così. Il gregge mica è stupido come diciamo noi: che un gregge segua il pastore non è mancanza d’intelletto, è capacità di fiducia. Garanzia di udito sano, «conoscono la sua voce». Che un gregge, invece del pastore, si metta a seguire un altro gregge è all’opposto: «Bisogna fare attenzione – scrive Seneca – a non seguire il gregge di chi ci precede, perchè non si va dove si deve andare, ma si va dove vanno tutti». Un pastore fuoriclasse, poi, è colui che nell’attimo in cui il gregge si vuol distanziare perchè vede un altro gregge sorpassarlo, o pascolare altrove, sa aiutare il suo gregge a reggere gli istinti, rallentare la fretta, gestire il tempo.
Sono io, dice Gesù, questo pastore: «Io sono la porta delle pecore». Mica è verbo d’arroganza quell’io-sono: è di massima responsabilità, di chi sa che sta caricando sul suo fiuto il destino del gregge. Mica è così semplice condurre un gregge: «Io vorrei chiedervi di pregare per le autorità: loro devono decidere su misure che non piacciono al popolo – invitò una mattina il Papa-. Tante volte l’autorità si sente sola, non capita». Che il pastore abbia bisogno di non sentirsi solo, soltanto chi non è mai stato a capo di un gruppo, anche esiguo, di persone potrà sorridere: governare, guidare, aprire un sentiero è saper intravedere una strada dove nessuno vede più strade. Con l’aggravante di dover chiedere al popolo non tanto pieni poteri ma piena fiducia: il che, badate bene, è chiedergli infinitamente di più della somma di tutti i poteri messi assieme. Mi strega il fatto che questo Vangelo chiuda la Fase-1 della pandemia: di mercenari che hanno cercato di guidare il gregge da dietro (dietro le quinte, dietro una tastiera, dietro dei prestanome) ne abbiamo avuti tutti qualche conoscenza. Di gente coraggiosa che abbia avuto l’ardire di sfidare il pericolo con prudenza, Papa Francesco è la bandiera: ci ha messo la faccia (anche in tv, con la sua messa), ha invitato alla collaborazione, non ha svenduto nulla. Ha tenuto in vita Dio nell’anima: “Tu sei fuori!” diranno. Non così tanto come parrebbe: un esercito di pecore guidate da un leone sconfiggerà un esercito di leoni condotti da una pecora. E’ il Vangelo.

(da Il Sussidiario, 2 maggio 2020)

In quel tempo, Gesù disse:
«In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore.
Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Giovanni, 10,11-18).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

My Agile Privacy
Privacy and Consent by My Agile Privacy

Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. 

Puoi accettare, rifiutare o personalizzare i cookie premendo i pulsanti desiderati. 

Chiudendo questa informativa continuerai senza accettare. 

Attenzione: alcune funzionalità di questa pagina potrebbero essere bloccate a seguito delle tue scelte privacy: