Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

 

 

Disprezzato e reietto dagli uomini,
uomo dei dolori che ben conosce il patire,
come uno davanti al quale ci si copre la faccia,
era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima.
Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per i nostri delitti,
schiacciato per le nostre iniquità.
Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo;
chi si affligge per la sua sorte?
Sì, fu eliminato dalla terra dei viventi,
per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte.
Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce
e si sazierà della sua conoscenza;
il giusto mio servo giustificherà molti,
egli si addosserà la loro iniquità.
ha consegnato se stesso alla morte
ed è stato annoverato fra gli empi,
mentre egli portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori.

(Is 53, 3-5; 8; 11-12)

 

 

Trovare in carcere la libertà, come quando è la morte a raccontare la vita e a svelarne il senso. É la storia -paradossale- di alcuni detenuti che ho incontrato visitando il carcere di massima sicurezza Due Palazzi di Padova, dove è cappellano don Marco Pozza. Mi ha colpito la storia di Alfredo, che ha dichiarato: «Nella mia latitanza ero prigioniero, qui dentro invece ho compreso la libertà e ho deciso di prenderne parte». La libertà è un dono che non tutti decidono di concedersi. Diventare liberi porta dentro alla solitudine -talvolta dentro alla disperazione- perché rende diversi; ma è il fuoco del crogiolo che purifica e che permette di far risplendere l’oro in tutta la sua preziosità. La libertà -come la risurrezione- alla scuola della misericordia è materia propedeutica per imboccare la via della salvezza. La vera libertá non é da qualcosa ma é sempre per qualcosa; nel caso di Alfredo, la “libertá” nell’aver scelto la prigione gli é servita per dare la paternità ai suoi figli; da latitante non avrebbe potuto riconoscerli e per loro decise di costituirsi. Il carcere è un luogo in cui Dio scende continuamente in persona a vedere cosa sta succedendo, esattamente come fece per Sodoma e Gomorra prima di distruggerle definitivamente (liturgia della XVII^ domenica del tempo ordinario): «Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!» (cfr. Gn 18, 21), accettando poi anche di scendere a patti con Abramo. Proprio come accade nella giustizia civile, Dio si cala dentro ai fatti e se ne accerta, ma prima di pronunciare la sentenza ascolta la difesa. Nell’audacia di Abramo, rivela l’audacia della Sua infinita misericordia: nella trattativa al ribasso si fa trovare pronto a scommettere non su cinquanta, non su quaranta e nemmeno su trenta, venti, dieci giusti. La (s)proporzione di Dio é quotata e punta tutto su uno. Anche per uno solo -finché non sará salvato- ogni logica giustizialista andrá sempre in frantumi, lasciando incastonato, tra la distruzione del male e la restaurazione del bene, l’interporsi della Sua grazia. La promessa fatta ad Abramo è già vangelo, l’unico vangelo detto in anticipo: la salvezza è per tutti. Essere salvati non significa sfuggire alla punizione, ma voler essere liberati dal male che ci abita: il Signore non vuole la morte del malvagio, ma che si converta e viva (cfr. Ez 18, 23; 33, 11). Qualche mattina fa, in carcere, ho guardato Armand e ho incrociato lo sguardo di un Dio capace di individuare nell’essere umano la più piccola particella di bene da cui partire per salvare anche il più grande male. Ho guardato Gaetano e ho visto un Dio che sotto la cenere dei più efferati delitti é in grado di scovare la perla di gran valore e riportarla alla luce: la stessa Sua immagine che é riflessa in noi. Poi ho guardato Louis, e ho imparato che Dio fa giustizia operando misericordia, e quella é la Sua più grande vendetta! Guido, infine, mi ha mostrato un Dio che crede in noi più di quanto noi possiamo credere in Lui. Un Dio che diventa il giusto per giustificarci; che per garantire anche un solo giusto su tutta la terra e ricominciare da capo a riscrivere la storia della salvezza, si fa uomo. Venuto al mondo per proclamare ai prigionieri la liberazione (cfr. Lc 4, 18) e per riabilitare gli arti anchilosati dello spirito dell’umanitá intera, ancora oggi si fa Egli stesso carcerato, ammanettato, processato e suppliziato, dando la Sua vita a quelli che erano morti a causa delle colpe e annullando il documento scritto contro di loro (cfr. Col 2, 13-14). Portando il nostro male nel Suo corpo (cfr. 1Pt 2, 24) e sulla Croce, si fa peccato del mondo, uomo dei dolori, addossandosi non solo il castigo ma l’imputazione della stessa colpa, redimendo fino alla radice anche il nostro più meschino senso di colpa. Nel silenzio imbarazzante di certi Calvari, risuonano -attualissime- poche e divine parole: «Padre, perdona loro…». Parole giuste, essenziali… in grado di donare la vera libertà anche dietro alle sbarre.

C’è una storia che racconta di una suora che un giorno stava spolverando una piccola immagine di Gesù in una cappella. Facendo il suo dovere, la fece cadere a terra. La suora la raccolse e vide che la piccola immagine non si era danneggiata. La baciò e la rimise al suo posto dicendo: «Se non fossi mai caduto, non avresti mai ricevuto questo bacio».

 

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