"Il mio
parroco" è stato il titolo dell’ultima puntata de "Sulla via di Damasco" andata in onda sabato scorso su RaiDue. Un
parroco vicentino mi scrive: "Stanno
parlando anche di noi"
. Solo un prete dal cuore grande e dall’intuito
vivacizzato da ore di preghiera come l’autore di quel programma poteva
rischiarsi una puntata sul silenzioso lavoro dei parroci in questi mesi
tristemente noti per altri parroci.
Tra la
pieve e il fiume stava un prete: semplice come il suo sguardo, sorridente come
il Dio di cui parlava, indaffarato come le mani sempre sporche. Non aveva
velleità di carriera, nel microcosmo di quel borgo ci vedeva il mondo, in
quella corona foderava paure e gioie, tristezze e umiliazioni, pane, sogni e
poesie. Sfruttava un caffè, un passaggio, un dubbio per farsi conoscere e
apprezzare. Per conoscere l’umanità. Il giorno in cui partii per tentare il mio
assalto al sacerdozio mi rammentò che camminare significa mettersi a nudo,
scoprirsi in un faccia a faccia con il mondo. E il cammino limita le cose da
portare perché il superfluo lo si pagherà in termini di fatica e di sudore.
Anche di rabbia.
Ho pensato
a lui guardando la puntata e, tra me e me, ho parafrasato parole di don
Mazzolari: "Anch’io voglio bene al mio
parroco"
. Gli voglio bene perché, dopo 21 anni che lo conosco, lo vedo
sempre più battagliero, grintoso di una grinta che s’annida oltre le vette
innevate. Lo vedo rapito da Dio a tal punto che la fatica che gli piove addosso
lo innalza. Uomo vero m’ha firmato l’abbraccio più bello il giorno della mia
prima messa: e l’ha condito con un pugno di lacrime. Lui, che ti da sempre
l’aria dell’Uomo di Denim – quello che non deve chiedere mai -, sa firmare atti
di folli e tenerissimi, di spavento e di timidezza, di esaltazione e di paura.
Per questo gli voglio bene.
Per lui i
giovani sono il futuro! Non perché si faranno adulti, ma perché nei loro occhi
legge già le impronte dei giorni a venire. Altri affermano il contrario per
assurda pigrizia mentale.
Oggi era
ancora là: in mezzo alla gente con mani sporche o sotto il Cristo con il
breviario aperto: solo per lui riservo quel possessivo affettuoso "mio"! Altri
non m’hanno dato occasione minima. Anzi!
Vorrò
sempre bene a don Luciano. Tanto bene: perché prima di chiedermi l’onore per la
veste che porta s’è dimostrato onorabile agli occhi della sua gente.

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