C’è chi i piedi di Giuda li vorrebbe amputare e chi i piedi di Giuda giovedì prossimo si chinerà per lavarli, asciugarli e baciarli; memore di quell’antichissimo gesto compiuto da Cristo che lavò i piedi dell’amico traditore con lo stesso affetto e la stessa passione con cui lavò i piedi di tutti gli altri discepoli. Al sorgere della primavera riparte la vecchia nenia del governatore del Veneto con al centro della sua attenzione il dramma del carcere. Nel maggio del 2010 auspicò che “si facciano carceri anche galleggianti se servono a risolvere il problema”; quasi tre anni dopo ha alzato l’asticella affermando che “gli italiani sarebbero contenti di pagare altre tasse per costruire nuove carceri” (sondaggio puntualmente bocciato dai lettori de “Il Mattino di Padova”). Nel mezzo la solita tiritera della chiave da gettare nel mare e la fantasmagoria di un ergastolo da far cadere come chicchi di grandine un po’ ovunque. E’ la voce di una parte della politica italiana che, tutta tesa a decantare il linguaggio della sicurezza, tende sovente a confondere la giustizia con la tortura.
Nelle stesse ore si erge un’altra voce, forte di un’autorevolezza dovuta alla frequentazione di quelle periferie dell’umano che chi detiene il bene comune volentieri decreta foreste. E’ la voce di Papa Francesco, che la porpora cardinalizia accettò di sporcarla con i “cartoneros” di Buenos Aires, dimostrando di non disdegnare il domicilio della povera gente. Dentro i tuguri la sua voce divenne forte, le sue gesta composero trame di profezia, il suo volto divenne amico della povera gente. Il Giovedì Santo entrerà nell’Istituto Penale per Minori di Casal del Marmo a Roma per ripetere lo splendido e imbarazzante gesto di Gesù: si chinerà a lavare, asciugare e baciare i piedi di quei giovani detenuti – metaforicamente discendenti della famiglia di Giuda Iscariota – per ricordare loro che in cielo ci sarà più gioia per un peccatore che si converte piuttosto che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione. Per le logiche del mondo di quaggiù è un gesto da perdenti: Caino deve soccombere per sempre, sotto le ceneri delle sue disfatte. Non così per la logica che abita dentro la Scrittura, laddove ancora oggi risuona la notizia buona di un Dio venuto a cercare chi si era smarrito; non per offrire la grazia a sottocosto ma per additarla come frutto gustoso di un cammino di conversione e di pentimento.
C’è aria di una nuova primavera in questi giorni dentro il tessuto millenario della Chiesa; la stessa aria che, ad essere sinceri e realisti, profuma d’autunno inoltrato nella fisionomia di qualche altra istituzione che s’era addossata una missione di salvezza. “E’ questione di stile” – direbbe la voce saggia di qualche anziano dallo sguardo profondo. Lo stile di un Papa che, aggrappato a piccolissimi segni che stanno diventando velocemente sogni, parla di misericordia e di bontà, di tenerezza e di vicinanza; parla un alfabeto condito di “buongiorno e buonasera, per favore e buon pranzo”. Un Papa la cui prima parola domenicale è stata “misericordia”; il cui primo viaggio missionario fuori dal Vaticano sarà quello di scendere nel ventre di una galera e lavare i piedi di chi ha percorso sentieri di disumanità. Nella Chiesa i sondaggi contano e non contano. Eppure un Papa che parla di misericordia raccoglie l’ottanta per cento di affetto; una politica che parla di chiavi da gettare, carceri galleggianti e tasse per nuove carceri viaggia tra la stanchezza e l’anonimato ormai prossimo.
Un giorno la misericordia tornerà di moda. E quando ci accorgeremo che i piedi di Giuda da Lui sono trattati come i nostri, sarà un piacere tutto da scoprire.
Le carceri galleggianti e l’idea di una nuova tassa per la costruzione di nuove carceri
Papa Francesco nel carcere minorile di Roma