tempesta

“Io mi concepisco come un uomo che ha cozzato in molti scogli,

ha evitato il naufragio passando in una secca,

ma conserva ancora la temerarietà di mettersi in mare

con lo stesso battello sconquassato,

mantenendo intatta l’ambizione di tentare il giro del mondo

nonostante queste disastrose circostanze”

(David Hume)

 

Mica ci è bastato il pane e il pesce moltiplicato per cinquemila e oltre misure; nemmeno quella vendemmia di miracoli architettati dall’alba al tramonto del nostro vagare con Lui tra indifferenza, ignominia e assurda bellezza (liturgia della XIX^ domenica del tempo ordinario). Eppoi le onde calmate, le misure raddoppiate, le malattie curate sino alla soglia della vita. Neppure gli anticipi di ciò che sarà – come nel giorno del Tabor -, la certezza che nulla è più come prima, il sospetto benevolo d’essere dentro ad una storia sorprendentemente lanciata verso la primavera. No, non è bastato tutto ciò: nemmeno quel giorno che avemmo la lucida percezione d’essere trattenuti tra le sue braccia di Padre: per una guarigione insperata, per una consolazione del cuore, per un nonnulla che ci ha messo nell’animo la freschezza dei primi passi. No: punto e a capo.

Basta lo spumeggiare di due onde marine – dovute ad uno dei tanti venti contrari che soffiano burrascosi nel mare dell’esistenza – e tutto viene ributtato per aria, nulla sembra avere più la dolce certezza dei giorni passati in compagnia: «Uomo di poca fede, perchè hai dubitato». Lui, Pietro, che di professione tra l’altro faceva pure il pescatore: uomo di mare che conosceva i venti, l’insidia della corrente contraria. Che strana coincidenza: anche dentro il mare del Vangelo i pescatori, che pur dovevano essere esperti di tempeste e di navigazioni di sorpresa, chiesero a quel Maestro – che discendeva da una tradizione di falegnami/carpentieri – di aggrapparsi a Lui per non morire: «Perchè siete così paurosi? Non avete ancora fede?» Eppure la fede c’era, forse un’esile fiammella o poco più: ma c’era. E’ che le burrasche sembrano cancellare anche la memoria di Dio, di quella casa del cuore che il Vangelo dipinge come l’ultimo rifugio di qualsiasi naufrago. Quella casa che è il luogo degli affetti e della memoria, del desiderio e dei legami, della passione e dell’infanzia: quel luogo nel quale ci si sente sicuri anche nel pieno dell’oscurità. Luogo che nei Vangeli è una presenza: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Che io torni alla soglia di quella casa paterna dove c’è posto per ciascuno, con la propria vita frastagliata: «Coraggio, sono io, non abbiate paura (…) Vieni!» Vieni: per sentirti al sicuro, per annusare l’affidabilità di Dio, per non smarrirti nella disperazione di nessuna solitudine del cuore.

Con Lui, in Lui, per Lui: nella barca della speranza che non è illusione ma anticipo di qualcosa che nessun profeta era mai stato capace di intravedere, seppur feroci nel guardare sempre all’orizzonte della storia. Glielo dice a Pietro, lo dice a me – che da quel giorno son divenuto figlio di pescatori spauriti -, lo dice ad ogni creatura sotto il Cielo: “Vieni. Non temere: non ho nessuna intenzione d’abbindolare il tuo cuore”. Eccolo il Messia dei Vangeli, mille miglia oltre il fantasma dei profeti di Baal che Elia sull’Oreb beffeggiò e mise alla berlina. Un fantasma non ha mani, non ha piedi, non ha voce: Lui, invece, ha mani, ha piedi, è voce. La voce che tutti vorrebbero poter udire nel frammezzo di una sciagura, quando una scialuppa sembra affondare, nel mentre un cuore sta per spezzarsi di lacrime. E’ Lui, punto e a capo. Eppure noi c’intestardiamo a non crederci. Meglio: a dar credito a quella stupida diavoleria di Satana – che col passamontagna di un serpente sguinzagliò capriccioso e geloso nel Giardino dell’Eden – che ci fa sospettare dell’inaffidabilità di Dio. Di un Dio che abbindola l’umano, lo priva delle sue più intime emozioni, lo deruba di ciò che gli è più tipico: la gioia e l’amore, l’ansia e la trepidazione, il gusto e la nostalgia, l’ebbrezza e la poesia. Eppure Dio non molla, non cede il posto, non smarrisce il suo ardire. Ad ogni tempesta – costi di passare per un fantasma – ritorna in prossimità della barca: per mettersi a disposizione, per non rifuggire dalle sue responsabilità, per gestire il panico di un manipolo di discepoli sempre al bivio tra il credere e il dubbio, tra la fiducia e il sospetto, tra l’abbandono e la compagnia.

Tra Lui e l’Altro: quello che si diverte a mettere in subbuglio il mare.

 

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