Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato
attesa

Come nelle vecchie filastrocche rinforzate dallo scoppiettare del camino. Per fare il tavolo ci vuole il legno; per fare il legno ci vuole l’albero; per fare l’albero ci vuole il seme; per fare il seme ci vuole il frutto; per fare il frutto ci vuole il fiore. Per fare il tavolo ci vuole un fiore. E il fiore, lo insegnano i poeti, è simbolo della bellezza, la sorgente dalla quale sgorga il mistero della nostalgia. Che altro non è se il battito nascosto dell’Eterno nel cuore della storia.
Nessuna paura se la Bellezza sarà anticipata dal fragore dei mari e dei loro flutti, da segni grandiosi addossati alla luna e alle stelle, dalla paura e dall’angoscia per l’attesa di ciò che starà per accadere (liturgia della I^ domenica di Avvento). Sotto questi segni ci sarà da risollevare il capo all’insù – come i bambini al sorgere di un capolavoro nell’aria – perchè la liberazione inizierà a sorgere all’orizzonte. Di quel giorno molti ne hanno parlato a tinte fosche e malefiche, finendo per tratteggiare l’immagine di un Dio barbuto e irriverente, col dito puntato verso l’alto e la faccia austera di chi dell’uomo vuol giudicare il passato. Eppure non c’è traccia d’angoscia e di paura dentro i sentieri dei Vangeli, laddove l’unica cosa certa è che non ci potrà essere gioia nel cuore dell’uomo senza libertà. E quell’unico suggerimento circa la vigilanza – “vegliate in ogni momento pregando” – è dovuto all’imprevedibilità di un arrivo che Lui non vorrebbe fosse per alcuno cagione di disattenzione: come per le dieci fanciulle evangeliche, o come per quel servitore accreditato di un solo talento e paralizzato dalla paura: meglio errare nella ricerca attiva che irrigidirsi in un immobilismo che non vale nulla. L’Avvento è tutto qui: è come dire che la paura non rende perchè non è ciò che Dio si aspetta dall’uomo.
D’altronde l’attesa è l’alfabeto delle personalità giganti: di una mamma gravida o di un papà disoccupato, di un alunno che s’affatica o di un paziente prossimo alla sala d’attesa, di un viaggiatore sul binario di una ferrovia o di un pittore sul ciglio di una traiettoria d’aquila. Di un fotografo, di un innamorato, di una amata. Di Dio stesso che, nonostante i conti non ci tornino più, anche quest’anno ricomincia daccapo perchè all’uomo quaggiù manca ancora un briciolo di Cielo per ricomporre i cocci della sua esistenza e ritrovare il filo di quella domanda che sarà la risposta di tutte le domande della storia, l’unica risposta che sarà comprensibile non con l’udito ma con gli occhi. Perchè sarà una Risposta da contemplare: “Signore, quando un giorno riporrai nel granaio la tua Creazione, spalancaci le porte e facci entrare là dove non ci verrà più risposto, perchè non ci sarà più nessuna risposta da dare. Ma solo la beatitudine, soluzione di ogni domanda e volto che appaga” (A. de Saint-Exupéry, Cittadella). Cosicchè attendere è un po’ come imparare a pregare, abitando la vita fino in fondo per brillare di gioia. I Vangeli accertano che gioire è già una preghiera: magari incolta, con un pizzico di selvatichezza addosso, come un fiore che spunta all’improvviso sul ciglio di un sentiero sassoso. Come una benedizione della nostra memoria di uomini e donne che passeggiano sotto l’architrave dell’Eternità: si prega per attendere, si attende per pregare.

“Così alla sera io cammino a passi lenti tra il mio popolo e tacitamente lo circondo del mio amore. Sono soltanto inquieto per coloro che ardono di una vana luce, per il poeta pieno d’amore per la poesia ma che non scrive il suo poema, per la donna innamorata dell’amore ma che, non sapendo scegliere, non può divenire; tutti pieni di angoscia, poiché sanno che io li potrei guarire di questa angoscia se permettessi loro di fare quell’offerta che esige sacrificio, scelta e dimenticanza dell’universo. Perché il tal fiore esclude innanzi tutto ogni altro fiore. E tuttavia solo a questa condizione esso è bello. Così avviene per l’oggetto dello scambio. E lo stolto che va a rimproverare a quella vecchia il suo ricamo col pretesto che avrebbe potuto tessere qualcos’altro, preferisce dunque il nulla alla creazione. Così cammino e sento salire la preghiera nell’odore dell’accampamento nel quale tutto matura e si forma in silenzio, lentamente, senza quasi che ci si pensi. Il frutto, il ricamo o il fiore, per divenire, è nel tempo che sono immersi. Durante le mie lunghe passeggiate ho capito che il valore della civiltà del mio impero non riposa sulla qualità dei cibi ma sulla qualità delle esigenze e sul fervore del lavoro. Questo valore non è dato dal possesso, ma dal dono di sé. E’ civilizzato innanzi tutto quell’artigiano che si ricrea nell’oggetto; in compenso egli diviene eterno, in quanto non teme più di morire. Ma quest’altro che si circonda di oggetti di lusso comperati dai mercanti, non ne trae alcun vantaggio se non ha creato nulla, anche se nutre il suo sguardo di cose perfette. Conosco quelle razze imbastardite che non scrivono più i loro poemi ma li leggono, che non coltivano più la loro terra ma si fondano anzitutto sugli schiavi. Contro di loro le sabbie del Sud preparano incessantemente nella loro miseria creatrice le tribù vive che saliranno alla conquista delle loro provviste morte. Non amo chi è sedentario nel cuore. Quelli che non offrono nulla non divengono nulla. La vita non servirà a maturarli, e il tempo per loro fluisce come una manciata di sabbia disperdendoli. Che cosa offrirò a Dio in loro nome?” (A. de Saint-Exupèry)

Buon anno! Perchè oggi, nonostante tutto, si ricomincia ad attendere perchè laggiù – in quell’anfratto di storia che ha lacerato lo sguardo di generazioni di profeti e acceso il cuore di migliaia di apostoli – è all’opera una nuova creazione per l’uomo. In un mondo popolato di adulti, terrà gli occhi di un Infante; in una storia di apprendisti vincitori, racconterà la storia di un perdente fuggito dalle grinfie di Erode; in un tempo regolato da astri e cartomanti diffonderà la legge dell’Eterno che si gioca nelle piccole cose quotidiane. Certo che i conti non tornano: era di tutt’altra specie il Dio che attendevano i nostri padri. Ancora una volta, dunque, l’avvento sarà una pulizia dello sguardo perchè Dio non ci passi accanto senz’accorgercene: dal primo Natale della storia il vero viaggio di scoperta non è più consistito nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi. Per cercare Lui.
Che già ci stava cercando.

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