Ha la passione dell'imprevisto. È un Dio in agguato

(pp. 23-25)
Dopo l’incontro in carcere, i due uomini si ritrovano e si infrange per sempre il muro di lontananza che li divideva.

Filò letterario (a cura dell’autore)
Uscire e tornare all’aria aperta, dopo una vita da ristretto passata dietro le sbarre. Ristretti gli orizzonti, ristretto il mondo, ristretta l’immaginazione e persino la speranza. Perché dentro ogni lupo batte il cuore di un uomo che invoca il riscatto, che ha pagato la pena, che avverte le mani tremare perché domani tornerà ad essere un uomo libero. Un uomo che dovrà ri-partire da zero.
Il rischio della libertà. Quella di Giulio Schiacciasassi – trent’anni di sole visto a strisce – e quella di Elton Kalica, quindici anni trascorsi nel Carcere Penale di Padova. Queste sono le sue ultime righe scarabocchiate per la rivista Ristretti Orizzonti qualche giorno prima di uscire.

Padova, 11 ottobre 2011 – Ho trascorso talmente tanti anni qui dentro che ho finito per non sentire più il peso dei ferri e a denti stretti faccio gli ultimi passi senza togliere lo sguardo dal traguardo, che ormai è vicinissimo. Ciò nonostante continuo a essere incapace di fare progetti. Un sentimento schiacciante, causato da una condizione prolungata di ristrettezza. La galera, si sa, proibisce di vivere: non si possono vedere i genitori quando ne avresti bisogno e non si può fare una camminata se ti prende un crampo al polpaccio, non si può mangiare ogni volta che si ha fame, non si può alzare il telefono e chiamare un’amica o chiamare il dentista e prenotare la visita se si ha mal di denti, non si può fare la doccia quando si ha bisogno e ci sono altre migliaia di cose che non è permesso fare.
All’età di vent’anni ho visto sollevarsi intorno a me un muro alto diciassette anni di galera, del colore di una nebulosa intensa e fredda che impediva di vedere come sarebbe stata la mia vita. Oggi che mancano pochi giorni alla fine della condanna, continuo a essere circondato dall’ignoto. Non ho mai saputo cosa succede veramente a casa, come stanno di salute le persone che amo o come vanno le loro relazioni: loro si ostinano a tranquillizzarmi dicendo sempre di stare bene. Vivere circondato da questo muro di ignoranza rende difficile ogni tipo di pianificazione.
Spesso mi ritrovo a ripassare mentalmente la giornata in cui ho commesso l’atto per cui sono finito qui dentro, ma un ventenne confuso che faceva cose difficili non può essere compreso da un trentenne che sta imparando a ragionare. Rivedo il processo concluso rapidamente, la difesa inesistente, la pesante condanna e puntualmente finisco per odiare il fato che mi ha intrappolato nello sfortunato vortice dell’odissea italiana. Certo, tutti i giorni sento di stranieri che incontrano destini più spietati del mio, e magari senza colpa alcuna, tragedie che trascinano donne incinte in fondo al mare, sfasciano impalcature sotto i piedi di uomini sudati, incendiano baracche mentre i bambini dormono dentro. Disgrazie che non consolano, milioni di progetti migratori fatti di sofferenza e di non-vita.
Se qualcuno esce di galera e riesce a godere di appaganti opportunità sentimentali e lavorative, tanti altri non riescono a trovare gli appigli e la forza per costruirsi un’esistenza decente. Qui dentro invece, chi più chi meno, hanno tutti imparato a sopravvivere adattandosi anche alle condizioni più difficili, oppure rendendosi insensibili alla sofferenza. Forse anch’io ormai sono assuefatto alla galera a tal punto che la vedo come una sfortunata parentesi della mia vita piuttosto che il crudele castigo dell’emigrazione. Non mostro segni evidenti di questo trauma, come se non sia stato io a passare una vita qui dentro. Solo quando uscirò di qui mi libererò del muro di nebbia che mi circonda e finalmente realizzerò davvero cosa sono stati per me questi anni.
Ovviamente uscirò una persona trasformata rispetto al ventenne che ero ma, nella stessa misura, anche il mio dimenticato mondo di amici e parenti sarà cambiato. E dovrò imparare a fare lavori che non ho mai fatto finora, dovrò relazionarmi con persone di un’età di cui conosco poco. Dovrò sopravvivere in una società complessa e sempre più ostile verso uno come me: concentrato a vincere le mie paure e a contenere il mio orgoglio. E infine scriverò anch’io ai miei compagni di cella per raccontare le delusioni o i successi della vita da libero, magari da un bar di Tirana, seduto insieme a collerici rimpatriati che progettano nuove odissee italiane.
C’è chi dice che la difficoltà più grande è rappresentata dal momento in cui si attraversa la porta del carcere, ma che poi tutto diventa facile come prima. Io invece credo che sarà drammatico quando si apriranno le porte di questa galera, strapperò il velo d’ignoranza che mi ha avvolto in questi anni e scoprirò tutto quello che è successo, mentre io cercavo di sopravvivere alla galera.

Elton Kalica (in collaborazione con Ristretti Orizzonti)

Fuori il sole è una luce che abbaglia. Chissà se da dietro le sbarre il sole era così bello com’è fuori dal carcere. I ciliegi sono fioriti e don Ernesto lo sapeva bene: nessun brigante è straniero alla Risurrezione. Perché dietro le sbarre tutti sanno che d’inverno la primavera inizia a fare le prove generali prima d’affacciarsi sul palcoscenico della natura.

26.10.2011_IV_disegno

“Legna da spaccare” – Disegno di Beatrice Costa, Romano d’Ezzelino (VI)

PROPOSTE DI RIFLESSIONE

  1. I due uomini si trovano vicini senza più barriere nella relazione; prova a riflettere se nel tuo modo di relazionarti con gli altri esistono o percepisci barriere, freni che impediscono una relazione vera.
  2. Capita anche a te di usare l’ironia per “riallacciare i rapporti” (riga 58)? O magari una relazione con qualcuno? O magari per sviare una domanda imbarazzante? Racconta.
  3. “Nessun brigante è straniero alla risurrezione” (riga 87); l’amore di Dio è universale e totale, ma forse anche per questo difficile da accettare, in qualche caso. Forse quando accadono fatti dolorosi, inspiegabili, improvvisi… prova a discuterne in classe con l’insegnante di religione.

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